domenica 2 dicembre 2012


Fagotto Pinocchio


C’era una volta un albero.
Era nato nella foresta, proprio nel prato dove si riuniscono le streghe per il sabba del plenilunio e lì aveva messo radici.
Da piccolo giocava a braccio di ferro col vento.
Da adulto preferiva dare ascolto agli usignoli che, a spasso nel cielo, trovavano in lui una pausa, un punto di ristoro, un attimo per raccontarsi tutte le cose che durante il volo non riuscivano a dirsi: cose da far tremar le foglie.
Gli piaceva sentirli cantare le meraviglie che vedevano dalle nuvole, dei giri del vento e delle scorciatoie degli angeli.
Era riparo per tutti gli uccelli che tra i crocicchi dei suoi rami avevano costruito la loro casa.
La  mattina alle cinque era come essere alla piazza del mercato, tutti che cantavano di gioia davanti alla vita che s’illuminava.
Da vecchio governò la sua irruenza col tronco fortemente ancorato alle radici. Non ballava solo perché si era deciso diversamente, ma se solo avesse avuto l’opportunità di esibirsi in un passo di danza, avrebbe fatto rimanere a bocca aperta anche le farfalle.
Aveva cento rami, mille e mille foglie da crescere, lasciar morire e veder rinascere.
Aveva mille storie per tutte le direzioni del vento, mille strade per tutte le formiche in vacanza sui suoi rami, mille decorazioni create dagli aghi di bruco e dai ragni ricamatori.
Sulla pelle della corteccia aveva mille rughe, solcate da file di formiche e punteggiate da api indaffarate. Sul tronco portava il segno di qualche tatuaggio con cuore e frecce, nomi di amori trascorsi al fresco delle sue fronde.
Poi un giorno tutto ciò venne abbattuto a colpi di scure.
Una parte di tronco finì fra le mani di un certo mastro Ciliegia, che dopo aver capito di trovarsi davanti ad un legno assolutamente non comune si spaventerà e lo regalerà a mastro Geppetto pensando di fargli un dispetto.
Mastro Geppetto invece ne farà un burattino che chiamerà Pinocchio e che guarda un po’ parlerà.

Poi arriverà una fata, azzurra come il cielo, turchese come il mare e tutti la chiameranno  “Fata Turchina”.
La Fata Turchina faceva un sacco di magie e fra queste vi era anche quella di suonare il fagotto. Quando incontrerà Pinocchio, gli regalerà un fagotto costruito con il legno dello stesso albero con cui mastro Geppetto aveva costruito il suo burattino. Gli insegnerà a suonarlo con molta passione e tanta pazienza. (Così tanta che l’avrebbe sicuramente finita se non fosse stata una fata).

Ancia della fata Turchina


Usava un metodo di cui non è rimasta traccia, dal titolo:
Note corte per nasi lunghi, metodo per fagottisti con la testa di legno.

Non potete immaginare la gioia di Pinocchio quando finalmente strimpellò la sua prima melodia! Tutta la vita del vecchio albero risuonò in quella musica. Nel cuore di Pinocchio, quei suoni rimbombarono come tuoni.
La gioia degli usignoli, i racconti degli uccelli che tra i suoi rami si erano posati, il tremore delle foglie e i chilometri di gioia percorsi dalle formiche lungo il suo tronco, tutto ritornò in una danza eterna. L’albero che c’era una volta riprese a vivere di nuovo fra le note del suo legno divenuto fagotto e fagottista.
Pinocchio vivrà così tante emozioni attraverso il suo fagotto che riuscirà a trasformarsi in un bambino in carne ed ossa.

Un sentito ringraziamento alla fata Turchina e al tocco magico dell’umile Geppetto.


Nessun commento:

Posta un commento