Immersa nel suo mondo
silenzioso di dolci parole affogate nell’acqua, la trota nuotava
nelle correnti che scorrono senza posa seguendo i soliti percorsi,
tutte le sue domande annegate in bolle d’aria che volavano verso
la superficie.
Poi,
in un giorno d’acqua calma, nel pertugio trasparente
dell’intuizione, vide oltre le acque oscure del suo mondo. Puntini
rossi, come pianeti lontani.
Ne
percepì l’odore, il sapore e la forza traente che emanavano.
Dovette
imparare a nuotare contro corrente, a non ascoltare i discorsi vuoti
degli altri pesci, a non abboccare all’amo delle abitudini, prima
di trovare il coraggio di volare.
“Un
pesce che pensa di poter volare non è degno dell’acqua che
respira” e la isolarono come un’appestata, contagiata dal virus
della follia.
Ma
lei dava retta al suo cuore, che iniziava a mostrarle il percorso che
l’avrebbe portata a raggiungere pianeti inesplorati.
Tutto
girava come al solito quel giorno, le stesse ciarle sul tempo, sulla
speranza, i soliti colpi di coda e le solite lamentele.
La
nostra trota s’immerse nel fondo e caricata di ferrea volontà
prese la rincorsa e si tuffò oltre il cielo del suo mondo.
Volando,
come un miracolo possibile, raggiunse il ramo che pendeva sull’acqua,
dove le bacche le regalarono il sapore della vera felicità.
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