Si racconta di un gufo che canta nel bosco ma che nessuno ha mai visto.
Io conosco la sua storia e ve la voglio raccontare.
All’inizio non sapeva nemmeno che poteva volare.
Guardava il bosco al caldo del nido aspettando la pappa e giocando alle belle statuine con i suoi fratellini. Poi, in un giorno di primavera, mentre le forsizie esplodevano in raggi di sole, imparò a volare, dando inizio alla sua vita lungo i sentieri invisibili che si snodano fra le fronde degli alberi.
Nei primi mesi da aviatore esplorò il bosco sino allo stagno, dove si fermava ad ascoltare il lamento dei rospi. Da loro imparò che compiangersi non serve nulla.
Nelle notti di luna piena, seduto sul masso ai confini del bosco, afferrò l’immobilità.
Fermo sul suo ramo, mentre i venti giocavano a rincorrersi fra gli alberi, comprese la fiducia e dal barbagianni ebbe in dono l’amicizia.
Notte dopo notte, a furia di volare nel bosco, cominciò a confondere il suo battito d’ali con le foglie che si agitavano alla brezza e le sue zampe con la corteccia dei rami.
Piano piano, giorno dopo giorno perse, uno dopo l’altra, tutte le penne che coprivano la sua individualità. Gli ci volle coraggio, tanto coraggio, più di quello che sembrava avere a disposizione. Ma, a furia di volare oltre il bosco, era riuscito a trovarlo in una miniera nel nulla del cielo, dove ogni giorno si recava per far rifornimento.
Così, libero da costrizioni e da paure, cominciò a rendersi conto di passare sopra i prati senza che la sua ombra lo seguisse, si ritrovò a saltare sui sassi insieme al torrente, ad appiccicare il profumo all’aria come la resina dei pini.
Ora vola oltre il confine del vento, dove ogni cosa della creazione si assomiglia pur mantenendo la propria singolarità e condivide la stessa origine.
Dove il suo canto risuona trasparente nel cuore di chi riesce a sentirlo.
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