Composta durante quello che lo stesso Verdi ha definito “anni di galera”, nei quali scrisse un’opera all’anno per quasi dieci anni (1843-1850) Attila esordì alla Fenice di Venezia il 17 marzo 1846.
Nella Cavatina del tenore, Foresto compiange la moglie Odabella nella mani di Attila invasore di Aquileia e giura di ritrovarla. Ho adattato l’aria per far cantare uno degli strumento che Verdi ha sempre apprezzato, il fagotto.
A tal proposito riporto alcuni estratti da “La scrittura fagottistica di Giuseppe Verdi: un’analisi diacronica e il caso del Capriccio per fagotto e orchestra” di Eugenio Poli,
“E’ stato tramandato che Verdi avesse appreso a Busseto a suonare il fagotto ma non ci sono prove a sostegno di questa tesi che rimane un affascinante dato tra mito e realtà.”
“Orselli affermò che fu Verdi, con le proprie opere, ad alzare il livello di scrittura delle parti per fagotto a quella degli altri legni, facendo in modo che la concezione del fagotto diventasse pari e degna equamente a quella di oboe, clarinetto e flauto. E’ grazie a Verdi che il fagotto si affranca da quella concezione legata al Settecento e ad un trattamento dello strumento legato agli archi bassi e al sostegno melodico e assume una valenza melodica e indipendente a tutto tondo. Inoltre, Orselli, osserva come nelle composizioni Verdiane il fagotto diventa e riceve un trattamento pari a quello di una voce umana. In effetti, sono moltissimi i passaggi nelle opere di Verdi in cui si osservano passaggi vocali di voci o del coro raddoppiate dal fagotto. Questo commento di uno dei più grandi fagottisti dell’Ottocento ci fa capire il ruolo e l’importanza che ebbe Verdi nella concezione delle parti e nel trattamento del fagotto.”
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