LA BANDA
TACA BANDA
….Pata pam, … pata pum …
pata pam, pitipum pampam
Il Mario era un tipo semplice.
I suoi bei soprammobili,
la sua collezione di puffi suonatori, la dispensa in ordine con le scorte in
caso di calamità e la carta da parati alle pareti.
Era di una semplicità un
po’ complicata ma cercava di seguire con disciplina il suo bel binario:
“triste e solitario”
avrebbe cantato qualcuno.
Mario era un bandito.
Un bandito con le bombe,
si perché lui suonava il bombardino nella banda del municipio.
“La musica è vita” aveva
scritto qualcuno su un muro e lui suonava per vivere.
Lo faceva di professione e
con stupore di chi “la musica non si mangia” la sua pagnotta se la portava
sempre a casa.
Quelle che vado a
raccontare sono le sue scorribande nel mondo della banda.
Leggerete lo spartito che
la vita gli ha messo davanti e che lui, da buon suonatore, ha eseguito cercando
di non sbagliare.
SARABANDA
Il giorno che Mario si
presentò all’ufficio della banda municipale per l’assunzione, ad accoglierlo
c’era Mimmo Sauro avvolto nella nebbia
della sua sigaretta.
Chiuso un piccolo stanzino
nel seminterrato con solo una finestrella che prendeva luce dal marciapiede,
Mimmo se ne stava seduto alla scrivania leggendo la Gazzetta dello Sport.
“Che c’è?” chiese con una voce da dinosauro
senza alzare lo sguardo dal giornale.
“Sono venuto per
l’assunzione” disse Mario
“Hai portato il codice di
iscrizione all’ENPALS e all’ufficio di collocamento?” borbottò Mimmo Sauro
dando una tirata alla sua sigaretta
“Ho inviato un fax
settimana scorsa”
“Vabbè. Chissà do cazzo gli
ho messi, co sto casino!” e indicò il
piccolo ufficio, pieno di carte, giornali e pacchetti di sigarette.
“Portali ancora va, tanto
nun c’hai un cazzo da fare”
Mimmo era un tipo molto
complicato. La moglie lo aveva lasciato, senza però prima avergli bruciato
tutti i vestiti e bucato le ruote della macchina.
La sua complicazione era
molto semplice: era incazzato nero.
Il suo binario aveva
rinunciato a seguirlo e fumava come una locomotiva a vapore:
“lanciata a bomba contro l’ingiustizia”
avrebbe cantato qualcuno.
“Tieni va” e diede a Mario
dei tamponi per le orecchie “per contratto li devi mettere quando suoni, perché
se no col cazzo ti danno ascolto se non ci senti più.”
“Ma … non capisco” chiese
Mario
“Sei già sordo?”
“Questa storia dei tamponi
mi sembra paradossale. Le orecchie quando si suona bisogna tenerle bene aperte”
“E allora vuol dire che
qui è paradorsale e non mi rompere i coglioni” e con un ultimo tiro aspettò che
Mario uscisse da quella stazione dove non arrivava mai nessuno.
Sbrigate le pratiche
burocratiche Mario salì alla sala prove della banda municipale, un locale
ricavato all’ultimo piano di un palazzo.
Appena aprì la porta capì
immediatamente perché davano i tamponi per le orecchie.
Un fracasso infernale
riempiva il locale, ogni suonatore faceva il suo verso a pieno volume, per
riuscire a sentirsi in mezzo a quel baccano. Il risultato era un orda di suoni
impazziti che sbattevano da un muro all’altro e stordivano i pensieri.
La prova iniziava alle 9
ma il direttore alle 9.30 ancora non era ancora arrivato.
“Mi sa che anche oggi non
arriva” riuscì a sentire da un collega che urlava come in mezzo a una bufera.
“Questa settimana non
proveremo” continuò a gridare
Mario trovò una scappatoia da tutto quel frastuono uscendo su una terrazza.
Li trovò dei colleghi che
avevano rinunciato a suonare e se ne stavano a chiacchierare, a fumare o a
leggere il giornale in santa pace, come sospesi su una nuvola.
“E’ vero che oggi non si
prova?” chiese Mario
“Si e nemmeno domani,
speriamo mercoledì” rispose Giorgio il primo clarinetto
Alle 10.30 iniziava la
pausa di 15 minuti e allora tutti al bar a bersi un caffè.
Alle 12 fine della prova.
Alle 11.45 cominciava la
coda davanti alla macchinetta per timbrare il cartellino.
Alle 11.57 la tensione era
palpabile, c’era già chi spingeva e allo scoccare delle 12 il primo cartellino
era già timbrato e il timbratore in fondo alle scale.
Si ritrovavano alla mensa
per una bella bistecca di suola di scarpa con tanto di erbette rimaste attaccate
e poi finalmente a casa!
GLI SBANDATI
Mercoledì arrivò il
direttore.
Un omino mezzo cieco che
faticava a vedere infondo alla banda, dove ovviamente se ne approfittavano per
leggere il giornale.
Mario per la prima volta
suonò il suo bombardino nella banda e cominciò a conoscere i suoi colleghi.
Giuseppe il clarinettista
che sveniva se suonava per più di 20 minuti, Antonio il basso tuba che suonava
ridendo, Sandro che suonava l’ultimo contrabbasso ad ancia rimasto e lo suonava
con la stessa ancia con cui aveva iniziato vent’anni prima, quando da tranviere
lo avevano fatto scendere al capolinea e gli avevano detto che era meglio se si
sedeva fra le file della banda.
Lui aveva preso il suo
contrabbasso ad ancia, messo un cuscino alla sedia e iniziato a suonare nella
banda con lo stesso timbro che fa il tram quando frena.
Poi c’era Franco, terza
tromba, che suonava con un enorme paio di cuffie rosse uguali a quelle che si usano per il martello pneumatico.
Carlo detto Cita, gran
divoratore di banane coi bollini delle quali imbrattava tutti gli armadietti,
suonava un clarinetto basso con un imbuto al posto della campana e alle
percussioni Enzo detto Tarzan per la foga con la quale batteva sui timpani.
Un gruppo di quattro
amici, sempre insieme, uniti dallo stesso punto di vista di un metro e
cinquanta era chiamato la Banda Bassotti.
Al corno Luisa che lo
suonava con la stessa passione con cui aveva fatto le corna al marito, al suo
fianco Maurizia, detta “il bocchino d’oro” e non certo per le sue acrobazie con
il corno.
In mezzo ai clarinetti
Diego, detto Houdini perché era capace di fare tutta la stagione senza emettere
nemmeno una nota e senza che nessuno se ne accorgesse.
Alfio flautista ed
astronomo suonava sempre un semitono sopra gli altri, Piero il sassofonista detto
“l’avvocato” per via dell’unica causa che aveva intrapreso nella sua vita per
una cagata che il cane del vicino gli aveva fatto sullo zerbino e che lui aveva
pestato e portato in casa imbrattando tutta la moquette.
Causa che lo teneva legato
come un cane ormai da anni e che lo aveva fatto diventare un timpanista
indiavolato.
Terenzio il fagottista con
l’ancia di canna velina e il suono da sassofono, Angelo con il baritono con un
suono da fagotto.
Gli oboi, Rick e Gian,
perché ad ogni a-solo che facevano pareva di ascoltare una barzelletta.
Fra i tromboni vi era
Adriano che quando era emozionato tartagliava anche con lo strumento.
La compagine era
pittoresca e per lo più allegra, ma alla fine un discreto bottino d’applausi
riuscivano sempre a portarselo a casa.
Il direttore diede
l’attacco e la banda partì con un accordo da locomotiva e sui vagoni, tra gli
altri, c’era anche Mario col suo bombardino, che felice soffiava e schiacciava
i pistoni a tutta velocità.
SCORRIBANDE
Partita
Il primo servizio, così si
chiamavano le sfilate che la banda teneva durante l’anno, Mario lo fece allo
stadio.
Gli avevano dato la divisa
della banda … di una taglia in più.
I pantaloni gli cadevano
costringendolo a fermarsi ogni tre o quattro battute per non rimanere in
mutande.
Entrarono nello stadio
gremito di tifosi venuti per la partita Italia, Polonia.
Entrarono suonando una marcia, in fila come soldatini e
la folla cominciò ad urlare “Sceeemi”
e lo fecero divisi in due cori
uno a destra: “Sceeemi”e uno a sinistra: “Sceeemi”.
Ripresi dal maxi schermo
la banda continuava imperterrita a suonare marciando per il campo, mentre il
coro a due voci dei tifosi sovrastava la loro musica.
La banda fedele alla sua
vocazione non taceva e avanzava nel prato verde, ma senza più una direzione
precisa. Sembra stordita.
Ad un certo punto Piero,
con il suo sax, ruppe le righe e rivoltosi all’imponente coro allargò le mani
in un gesto inequivocabile “vi faccio un culo così” e soddisfatto si rimise al
passo fra le righe della banda.
Mario, tutto preso a non
rimanere in mutande davanti a 5000 persone, suonò sognando che almeno per
quella volta, al posto delle note uscissero delle bombe dal suo bombardino.
Tutte quelle ore di studio
per arrivare a fare quella figura di merda! gli sembrava di essere un martire
buttato in mezzo al Colosseo pronto ad essere sbranato dai leoni.
Finalmente la banda trovò
la via d’uscita e sparì dal maxi schermo per lasciar spazio alle formazioni che
si sarebbero schierate in campo e un grande applauso scoppiò nello stadio.
“Beh alla fine siamo
piaciuti” commentò Franco sentendo l’applauso
“Rimetti le cuffie che fa
freddo” gli consigliò Antonio mentre
riponeva il suo basso tuba nella custodia come se fosse un attrezzo agricolo.
Fuori strada
In occasione della festa
di San Domestico, la comunità dei filippini chiese al lodevole municipio se
potevano onorare il loro patrono con una festa ai giardini pubblici. Al
sindaco, che probabilmente aveva un filippino al suo servizio, parve degno
dell’occasione offrire anche la banda per accompagnarli in una sfilata lungo le
vie cittadine sino alla piazza principale.
“Con quello che ci
costano, facciamoli lavorare” ordinò al suo assessore.
Fu così che la banda si
ritrovò la domenica mattina alle 8 in una città deserta:
qualche cane, pochi filippini e la banda al completo.
Si disposero fuori dai
giardini pronti per marciare davanti ai filippini che si sarebbero accodati con
tanto di stendardo dedicato a San Domestico.
“Tutti in boca!” gridò Aristide
il capobanda
“No, mi no”
“Chi te set?”
“Il tamburino”
“Avanti marsch” lo ignorò Aristide
e la banda, come una macchina ben oliata, partì.
Dopo la prima marcia
inserirono la seconda, poi la terza, la quarta e ben presto si ritrovarono ad
una elevata velocità che li distanziò dai filippini i quali, con il loro passo
da domestici in riposo, proseguivano senza fretta.
La banda, lanciata a tutta
velocità, arrivata ad un bivio fece la sua scelta: sinistra, e senza frenare
affrontò la curva a tutto volume.
La distanza dai filippini
era ormai considerevole tanto che non sembravano far parte dello stesso corteo.
Arrivati al bivio i
filippini fecero la loro scelta: destra, e proseguirono verso la piazza.
Finalmente in folle la
banda riprese fiato, Luisa si voltò e … “Cazzo, hanno girato a destra” gridò
“Rompete le righe”
gridò a sua volta il capobanda e
inserita la retromarcia, ognun per se di corsa a rincorrere i filippini.
Sembravano dei folli con
la divisa.
Vederli correre come
forsennati con gli strumenti in mano per raggiungere la loro posizione era
molto comico e per una volta il pubblico si sarebbe divertito, peccato che la
città fosse deserta.
Quando cominciarono a
superarli di corsa, i filippini, che manco si ricordavano che c’era una banda a
scortarli, li guardarono impauriti e si voltarono per vedere da cosa scappavano
quei tipi con il cappello e uno strumento in mano.
Ci fu un attimo di
confusione e il corteo rischiò di disperdersi, ma alla fine la banda si
rimpiattò e inserita la prima marcia riprese a cantare come un motore su di
giri e i filippini al seguito con il
loro San Domestico. Fecero l’ ingresso nella piazza principale della
città in gran trionfo.
Peccato che ad aspettarli non
c’era nessuno.
Variazione
Il telefono squillò
“Pronto” rispose seccato
Mimmo Sauro, interrompendo la lettura della Gazzetta dello Sport
“Non sto molto bene e non riesco ad esserci
per il servizio di sabato” disse Terenzio dall’altra parte della cornetta
“Che cazzo! hai pure tu le
tue cose?” rispose Mimmo, infatti Maurizia aveva appena telefonato
giustificando così la sua assenza.
“Vabbè. Meglio di quel pirla di Adriano che
non vuole marciare perché ha paura dei tombini.
Mo perché è inciampato una
volta … cazzo” e riappese la cornetta ributtandosi nell’articolo dove valeva la
pena stare.
Il servizio in questione
era quello della festa della Polizia a cavallo.
Un avvenimento importante
per la città con tanto di autorità schierate: Sindaco, Assessori, Capo della
Polizia, Prelato, Prevosto, Pretore e Questore.
La banda con tutti i
bottoni attaccati e le scarpe lucide.
La piazza era gremita e la
banda in riga dietro la Polizia a cavallo.
Tutti fermi ad ascoltare,
o meglio, ad aspettare che il discorso del sindaco terminasse.
I cavalli muovevano la
coda e Mario il bombardino.
Il discorso finalmente
finì e insieme all’applauso del pubblico un cavallo pensò bene di commentare il
discorso del sindaco alzando la coda e defecando sul pavè.
Il problema fu che il
cavallo in questione era quello davanti alla banda e perfettamente allineato
con la traiettoria di marcia.
Il capobanda diede il via
e Giorgio, il primo clarinetto, calcolò che nel giro di due battute sarebbe
arrivato esattamente sul commento dell’innocente cavallo.
Doveva prendere una
decisione, o schivare lo sterco facendo sbandare la banda, cosa alquanto
deprecabile al cospetto delle autorità o … il tempo di marcia avanzava
inesorabile e Giorgio prese la sua decisione: si fermò un secondo davanti
all’escremento e a piedi pari lo saltò come se fosse previsto dalla partitura e
dietro di lui tutta la fila fece lo stesso.
Per fortuna che Adriano
era rimasto a casa, se no quella volta non avrebbe inciampato in un tombino ma sarebbe
sicuramente scivolato.
Apparizione
Il servizio più odiato
dalla banda era quello del 6 gennaio.
Si trattava di scortare i
Re Magi con i loro cammelli dalla piazza principale alla chiesa parrocchiale.
Era la prima volta che
Mario suonava per quell’occasione e arrivò presto per paura di arrivare tardi.
Lentamente arrivò tutta la
banda, infagottata e con i guanti senza dita.
La situazione era fredda
sotto tutti i punti di vista, quello meteorologico e quello psicologico.
I tre Re Magi, poco
credibili con i loro abiti da carnevale, si affiancavano ai loro cammelli
imprestati dal circo.
La temperatura non era
quella del deserto, il termometro digitale della piazza segnava meno tre e i
cammelli sembravano scivolare sull’umidità che gli avvolgeva , le loro gobbe
erano tristemente sgonfie come demoralizzate da tutta quella farsa.
Ma i genitori portavano i
loro figlioli per far vivere loro la fine delle Feste Natalizie e guardare i
cammelli con i Re Magi che avevano perso la strada.
Quell’anno, a dare più
enfasi all’evento, vi era anche un emittente televisiva locale.
La gente si disponeva lungo il tragitto che
avrebbero fatto i Re Magi con i loro cammelli e la banda cominciava ad
allinearsi per la parata.
Terenzio, il fagottista,
aprendo la custodia del suo fagotto rimase senza fiato.
Si era fatto imprestare un
fagotto cinese per l’occasione, dato che il suo era nuovo e non voleva esporlo
a temperature così basse, ed era passato a prenderlo la mattina stessa.
Quando aprì finalmente la
custodia si accorse che mancava la Esse (il piccolo tubicino ricurvo dove si
colloca l’ancia, senza la quale il fagotto non suona)
Il capobanda intanto lo
incitava a mettersi in riga perché il corteo stava per partire.
Terenzio non sapeva cosa
fare, pensò di fingersi improvvisamente indisposto ma mentre ragionava a tutta
velocità sul da farsi, vide un pezzetto di fil di ferro verde, di quelli che si
usano per le recinzioni.
Era della lunghezza giusta
e velocemente lo piegò a forma di esse, lo mise sul fagotto, vi inserì l’ancia
e si mise in fila.
Salvo.
“Ma che esse hai?” gli
chiese Alfio
“E’ un modello di ultima
generazione, l’ho appena comprata” rispose serio Terenzio
“Sentiamo”
“No, suona molto forte non
vorrei spaventare i cammelli”
La banda partì e Terenzio
soffiava come se suonasse veramente e la condensa colava dall’ancia.
Le telecamere della tivù
locale riprendevano l’evento e una si mise a filmare Terenzio con il suo fil di
ferro.
“Guarda mamma!” esclamò un
bambino davanti alla televisione
“Quel signore sputa mentre
suona, c’è un filo di bava che esce, che strumento è”
“Non so di preciso”
rispose la mamma “Sarà un Filotto”
L’inquadratura cambiò e le
gobbe flaccide dei cammelli misero a tacere ogni commento sul Filotto per poi
passare alla pubblicità dove il bambino finalmente sorrise felice.
A Banda Larga
Quando il nuovo maestro
entrò in sala prove si creò un silenzio irreale.
Viso serio, sguardo
assorto e voce profonda.
“Maestro dia il La” disse
al primo oboe e Rick soffiò un La
“Ah, ah” sorrise divertito
il maestro “ simpatico! adesso lo dia seriamente”
Rick non capì la battuta, sorrise e ridiede lo stesso La
"Cos'è una barzalletta?" pensò il direttore.
Rick non capì la battuta, sorrise e ridiede lo stesso La
"Cos'è una barzalletta?" pensò il direttore.
Guardò la banda come si
guarda una macchina nuova e disse
“Mo go scià la Ferrari, mo
schisci” (Adesso ho la Ferrari, ora posso andare veloce)
La prova iniziò e il
maestro, con movenze ispirate, dirigeva con impeto.
Poche battute e fermò
improvvisamente la corsa e indicando Sandro, nascosto dietro il suo
contrabbasso ad ancia, lo guardò con due occhi da giustiziere e gli disse:
“Si alzi” e Sandro
timidamente si alzò
“Lei ha sbagliato?” e non
sentendo risposta “ Si lei ha sbagliato, glielo dico io. Confessi!”
“Si ho sbagliato”
“Si sedia” e con un
sorriso soddisfatto rimise il piede sull’acceleratore.
Prima o poi toccò a tutti alzarsi e ammettere la propria colpa.
“Li ho in pugno” pensò il
direttore quando scese dalla sua Ferrari lasciandosi alle spalle una banda fiaccata.
“Ho fuso il motore” disse
Tarzan stremato da tutto quel battere come un pistone sui timpani.
Il giorno dopo la prova si
svolse con lo stesso clima da formula uno e pian piano la banda cominciò ad
abituarsi a quel Maestro che si credeva dio in terra e alla fine si divertivano
a sbagliare apposta per alzarsi e ammettere che avevano sbagliato.
“E’ come essere a Forum”
commentavano divertite Luisa e Maurizia che avevano cominciato a sbagliare più
del solito solo per avere la soddisfazione di entrare “in trasmissione” e
mostrare il vestito nuovo.
Il giorno che dovevano
provare l’intermezzo de“L’amico Fritz” di Mascagni , Giorgio si alzò e non perché
aveva sbagliato ma per dire di andare a chiamare Mimmo Sauro.
Ogni volta che suonavano
l’Amico Fritz era prassi far salire in
sala prove Mimmo Sauro, perché tutti sapevano che se c’era una cosa che piaceva
a Mimmo era l’intermezzo dell’Amico Fritz.
“C’è il tuo amico” gli
citofonavano e lui usciva dal suo antro
e lentamente, fumando una sigaretta, raggiungeva la sedia di paglia
della sala e si sedeva ad ascoltare.
E ogni volta si commuoveva
… e lentamente, con un mezzo sorriso, tornava nel suo mondo di nebbia dove la
Gazzetta dello Sport l’aspettava.
Il Gran Direttore in quel
periodo di prove non mancò di elargire ai musicisti la sua filosofia riguardo
alla musica.
“La musica è come un
rastrello, deve avere tutti i denti così quando lo tiri non rimane indietro
nemmeno una nota.”
“La musica è come un
treno, c’è sempre l’ultima carrozza” e il riferimento al tram di Sandro si
rivelò non essere per nulla casuale.
“La musica è come
camminare lungo una staccionata e con un legno battere contro i piloni, tutti
bisogna prenderli, non bisogna saltarne nemmeno uno”
Una settimana di prove e
poi il giorno del concerto.
Dopo venti minuti ci fu il
primo fuori programma: Giuseppe era svenuto.
All’intervallo Houdinì pulì
il clarinetto tra lo sguardo incredulo
dei colleghi.
Lui che non suonava mai
quella volta suonò, almeno così sembrava.
Nella seconda parte del concerto
il secondo fuori programma: Sandro aveva
frenato in ritardo col suo contrabbasso a tram, facendo arrivare anche quella
volta l’ultima carrozza al capolinea.
“Me.. me..merda rifatti i
i i freni” gli sussurrò Adriano.
Il concerto finì e l’applauso partì, rumoroso come una ventola
di raffreddamento.
La banda aveva colpito ancora. Aveva lasciato
tutti senza fiato.
Ancora una volta era
riuscita a rapinare il cuore del suo pubblico e a conquistare il riscatto agli
occhi di chi non ci avrebbe speso due lire.
Arrivato a casa Mario si
soffermò ad osservare il “Puffo bombardiere” della sua collezione di Puffi suonatori
e alzò le spalle sorridendo.
Con un sospiro spense la
luce e si addormentò fra la pause del suo spartito.