sabato 10 novembre 2012

LA BANDA

TACA BANDA

….Pata pam, … pata pum … pata pam, pitipum pampam

 Il Mario era un tipo semplice.
I suoi bei soprammobili, la sua collezione di puffi suonatori, la dispensa in ordine con le scorte in caso di calamità e la carta da parati alle pareti.
Era di una semplicità un po’ complicata ma cercava di seguire con disciplina il suo bel binario:
“triste e solitario” avrebbe cantato qualcuno.
Mario era un bandito.
Un bandito con le bombe, si perché lui suonava il bombardino nella banda del municipio.
“La musica è vita” aveva scritto qualcuno su un muro e lui suonava per vivere.
Lo faceva di professione e con stupore di chi “la musica non si mangia” la sua pagnotta se la portava sempre a casa.
Quelle che vado a raccontare sono le sue scorribande nel mondo della banda.
Leggerete lo spartito che la vita gli ha messo davanti e che lui, da buon suonatore, ha eseguito cercando di non sbagliare.


SARABANDA

Il giorno che Mario si presentò all’ufficio della banda municipale per l’assunzione, ad accoglierlo c’era Mimmo Sauro  avvolto nella nebbia della sua sigaretta.
Chiuso un piccolo stanzino nel seminterrato con solo una finestrella che prendeva luce dal marciapiede, Mimmo se ne stava seduto alla scrivania leggendo la Gazzetta dello Sport.
 “Che c’è?” chiese con una voce da dinosauro senza alzare lo sguardo dal giornale.
“Sono venuto per l’assunzione” disse Mario
“Hai portato il codice di iscrizione all’ENPALS e all’ufficio di collocamento?” borbottò Mimmo Sauro dando una tirata alla sua sigaretta
“Ho inviato un fax settimana scorsa”
“Vabbè. Chissà do cazzo gli ho messi,  co sto casino!” e indicò il piccolo ufficio, pieno di carte, giornali e pacchetti di sigarette.
“Portali ancora va, tanto nun c’hai un cazzo da fare”
Mimmo era un tipo molto complicato. La moglie lo aveva lasciato, senza però prima avergli bruciato tutti i vestiti e bucato le ruote della macchina.
La sua complicazione era molto semplice: era incazzato nero.
Il suo binario aveva rinunciato a seguirlo e fumava come una locomotiva a vapore:
 “lanciata a bomba contro l’ingiustizia” avrebbe cantato qualcuno.
“Tieni va” e diede a Mario dei tamponi per le orecchie “per contratto li devi mettere quando suoni, perché se no col cazzo ti danno ascolto se non ci senti più.”
“Ma … non capisco” chiese Mario
“Sei già sordo?”
“Questa storia dei tamponi mi sembra paradossale. Le orecchie quando si suona bisogna tenerle bene aperte”
“E allora vuol dire che qui è paradorsale e non mi rompere i coglioni” e con un ultimo tiro aspettò che Mario uscisse da quella stazione dove non arrivava mai nessuno.
Sbrigate le pratiche burocratiche Mario salì alla sala prove della banda municipale, un locale ricavato all’ultimo piano di un palazzo.
Appena aprì la porta capì immediatamente perché davano i tamponi per le orecchie.
Un fracasso infernale riempiva il locale, ogni suonatore faceva il suo verso a pieno volume, per riuscire a sentirsi in mezzo a quel baccano. Il risultato era un orda di suoni impazziti che sbattevano da un muro all’altro e stordivano i pensieri.
La prova iniziava alle 9 ma il direttore alle 9.30 ancora non era ancora arrivato.
“Mi sa che anche oggi non arriva” riuscì a sentire da un collega che urlava come in mezzo a una bufera.
“Questa settimana non proveremo” continuò a gridare
Mario trovò una scappatoia da tutto quel frastuono uscendo su una terrazza.
Li trovò dei colleghi che avevano rinunciato a suonare e se ne stavano a chiacchierare, a fumare o a leggere il giornale in santa pace, come sospesi su una nuvola.
“E’ vero che oggi non si prova?” chiese Mario
“Si e nemmeno domani, speriamo mercoledì” rispose Giorgio il primo clarinetto
Alle 10.30 iniziava la pausa di 15 minuti e allora tutti al bar a bersi un caffè.
Alle 12 fine della prova.
Alle 11.45 cominciava la coda davanti alla macchinetta per timbrare il cartellino.
Alle 11.57 la tensione era palpabile, c’era già chi spingeva e allo scoccare delle 12 il primo cartellino era già timbrato e il timbratore in fondo alle scale.
Si ritrovavano alla mensa per una bella bistecca di suola di scarpa con tanto di erbette rimaste attaccate e poi finalmente a casa!

GLI SBANDATI

Mercoledì arrivò il direttore.
Un omino mezzo cieco che faticava a vedere infondo alla banda, dove ovviamente se ne approfittavano per leggere il giornale.
Mario per la prima volta suonò il suo bombardino nella banda e cominciò a conoscere i suoi colleghi.
Giuseppe il clarinettista che sveniva se suonava per più di 20 minuti, Antonio il basso tuba che suonava ridendo, Sandro che suonava l’ultimo contrabbasso ad ancia rimasto e lo suonava con la stessa ancia con cui aveva iniziato vent’anni prima, quando da tranviere lo avevano fatto scendere al capolinea e gli avevano detto che era meglio se si sedeva fra le file della banda.
Lui aveva preso il suo contrabbasso ad ancia, messo un cuscino alla sedia e iniziato a suonare nella banda con lo stesso timbro che fa il tram quando frena.
Poi c’era Franco, terza tromba, che suonava con un enorme paio di cuffie rosse uguali a quelle che  si usano per il martello pneumatico.
Carlo detto Cita, gran divoratore di banane coi bollini delle quali imbrattava tutti gli armadietti, suonava un clarinetto basso con un imbuto al posto della campana e alle percussioni Enzo detto Tarzan per la foga con la quale batteva sui timpani.
Un gruppo di quattro amici, sempre insieme, uniti dallo stesso punto di vista di un metro e cinquanta era chiamato la Banda Bassotti.
Al corno Luisa che lo suonava con la stessa passione con cui aveva fatto le corna al marito, al suo fianco Maurizia, detta “il bocchino d’oro” e non certo per le sue acrobazie con il corno.
In mezzo ai clarinetti Diego, detto Houdini perché era capace di fare tutta la stagione senza emettere nemmeno una nota e senza che nessuno se ne accorgesse.
Alfio flautista ed astronomo suonava sempre un semitono sopra gli altri, Piero il sassofonista detto “l’avvocato” per via dell’unica causa che aveva intrapreso nella sua vita per una cagata che il cane del vicino gli aveva fatto sullo zerbino e che lui aveva pestato e portato in casa imbrattando tutta la moquette.
Causa che lo teneva legato come un cane ormai da anni e che lo aveva fatto diventare un timpanista indiavolato.
Terenzio il fagottista con l’ancia di canna velina e il suono da sassofono, Angelo con il baritono con un suono da fagotto.
Gli oboi, Rick e Gian, perché ad ogni a-solo che facevano pareva di ascoltare una barzelletta.
Fra i tromboni vi era Adriano che quando era emozionato tartagliava anche con lo strumento.
La compagine era pittoresca e per lo più allegra, ma alla fine un discreto bottino d’applausi riuscivano sempre a portarselo a casa.
Il direttore diede l’attacco e la banda partì con un accordo da locomotiva e sui vagoni, tra gli altri, c’era anche Mario col suo bombardino, che felice soffiava e schiacciava i pistoni a tutta velocità.

SCORRIBANDE

Partita

Il primo servizio, così si chiamavano le sfilate che la banda teneva durante l’anno, Mario lo fece allo stadio.
Gli avevano dato la divisa della banda … di una taglia in più.
I pantaloni gli cadevano costringendolo a fermarsi ogni tre o quattro battute per non rimanere in mutande.
Entrarono nello stadio gremito di tifosi venuti per la partita Italia, Polonia.
Entrarono suonando una marcia, in fila come soldatini e la folla cominciò ad urlare “Sceeemi”
e lo fecero divisi in due cori uno a destra: “Sceeemi”e uno a sinistra: “Sceeemi”.
Ripresi dal maxi schermo la banda continuava imperterrita a suonare marciando per il campo, mentre il coro a due voci dei tifosi sovrastava la loro musica.
La banda fedele alla sua vocazione non taceva e avanzava nel prato verde, ma senza più una direzione precisa. Sembra stordita.
Ad un certo punto Piero, con il suo sax, ruppe le righe e rivoltosi all’imponente coro allargò le mani in un gesto inequivocabile “vi faccio un culo così” e soddisfatto si rimise al passo fra le righe della banda.
Mario, tutto preso a non rimanere in mutande davanti a 5000 persone, suonò sognando che almeno per quella volta, al posto delle note uscissero delle bombe dal suo bombardino.
Tutte quelle ore di studio per arrivare a fare quella figura di merda! gli sembrava di essere un martire buttato in mezzo al Colosseo pronto ad essere sbranato dai leoni.
Finalmente la banda trovò la via d’uscita e sparì dal maxi schermo per lasciar spazio alle formazioni che si sarebbero schierate in campo e un grande applauso scoppiò nello stadio.
“Beh alla fine siamo piaciuti” commentò Franco sentendo l’applauso
“Rimetti le cuffie che fa freddo” gli consigliò  Antonio mentre riponeva il suo basso tuba nella custodia come se fosse un attrezzo agricolo.

Fuori strada

In occasione della festa di San Domestico, la comunità dei filippini chiese al lodevole municipio se potevano onorare il loro patrono con una festa ai giardini pubblici. Al sindaco, che probabilmente aveva un filippino al suo servizio, parve degno dell’occasione offrire anche la banda per accompagnarli in una sfilata lungo le vie cittadine sino alla piazza principale.
“Con quello che ci costano, facciamoli lavorare” ordinò al suo assessore.
Fu così che la banda si ritrovò la domenica mattina alle 8 in una città deserta:
qualche cane,  pochi filippini e la banda al completo.
Si disposero fuori dai giardini pronti per marciare davanti ai filippini che si sarebbero accodati con tanto di stendardo dedicato a San Domestico.
“Tutti in boca!” gridò Aristide il capobanda
“No, mi no”
“Chi te set?”
“Il tamburino”
“Avanti marsch” lo ignorò Aristide e la banda, come una macchina ben oliata, partì.
Dopo la prima marcia inserirono la seconda, poi la terza, la quarta e ben presto si ritrovarono ad una elevata velocità che li distanziò dai filippini i quali, con il loro passo da domestici in riposo, proseguivano senza fretta.
La banda, lanciata a tutta velocità, arrivata ad un bivio fece la sua scelta: sinistra, e senza frenare affrontò la curva a tutto volume.
La distanza dai filippini era ormai considerevole tanto che non sembravano far parte dello stesso corteo.
Arrivati al bivio i filippini fecero la loro scelta: destra, e proseguirono verso la piazza.
Finalmente in folle la banda riprese fiato, Luisa si voltò e … “Cazzo, hanno girato a destra” gridò
“Rompete le righe” gridò  a sua volta il capobanda e inserita la retromarcia, ognun per se di corsa a rincorrere i filippini.
Sembravano dei folli con la divisa.
Vederli correre come forsennati con gli strumenti in mano per raggiungere la loro posizione era molto comico e per una volta il pubblico si sarebbe divertito, peccato che la città fosse deserta.
Quando cominciarono a superarli di corsa, i filippini, che manco si ricordavano che c’era una banda a scortarli, li guardarono impauriti e si voltarono per vedere da cosa scappavano quei tipi con il cappello e uno strumento in mano.
Ci fu un attimo di confusione e il corteo rischiò di disperdersi, ma alla fine la banda si rimpiattò e inserita la prima marcia riprese a cantare come un motore su di giri e i filippini al seguito con il loro San Domestico. Fecero l’ ingresso nella piazza principale della città in gran trionfo.
Peccato che ad aspettarli non c’era nessuno.

Variazione

Il telefono squillò
“Pronto” rispose seccato Mimmo Sauro, interrompendo la lettura della Gazzetta dello Sport
 “Non sto molto bene e non riesco ad esserci per il servizio di sabato” disse Terenzio dall’altra parte della cornetta
“Che cazzo! hai pure tu le tue cose?” rispose Mimmo, infatti Maurizia aveva appena telefonato giustificando così la sua assenza.
 “Vabbè. Meglio di quel pirla di Adriano che non vuole marciare perché ha paura dei tombini.
Mo perché è inciampato una volta … cazzo” e riappese la cornetta ributtandosi nell’articolo dove valeva la pena stare.
Il servizio in questione era quello della festa della Polizia a cavallo.
Un avvenimento importante per la città con tanto di autorità schierate: Sindaco, Assessori, Capo della Polizia, Prelato, Prevosto, Pretore e Questore.
La banda con tutti i bottoni attaccati e le scarpe lucide.
La piazza era gremita e la banda in riga dietro la Polizia a cavallo.
Tutti fermi ad ascoltare, o meglio, ad aspettare che il discorso del sindaco terminasse.
I cavalli muovevano la coda e Mario il bombardino.
Il discorso finalmente finì e insieme all’applauso del pubblico un cavallo pensò bene di commentare il discorso del sindaco alzando la coda e defecando sul pavè.
Il problema fu che il cavallo in questione era quello davanti alla banda e perfettamente allineato con la traiettoria di marcia.
Il capobanda diede il via e Giorgio, il primo clarinetto, calcolò che nel giro di due battute sarebbe arrivato esattamente sul commento dell’innocente cavallo.
Doveva prendere una decisione, o schivare lo sterco facendo sbandare la banda, cosa alquanto deprecabile al cospetto delle autorità o … il tempo di marcia avanzava inesorabile e Giorgio prese la sua decisione: si fermò un secondo davanti all’escremento e a piedi pari lo saltò come se fosse previsto dalla partitura e dietro di lui tutta la fila fece lo stesso.
Per fortuna che Adriano era rimasto a casa, se no quella volta non avrebbe inciampato in un tombino ma sarebbe sicuramente scivolato.


Apparizione

Il servizio più odiato dalla banda era quello del 6 gennaio.
Si trattava di scortare i Re Magi con i loro cammelli dalla piazza principale alla chiesa parrocchiale.
Era la prima volta che Mario suonava per quell’occasione e arrivò presto per paura di arrivare tardi.
Lentamente arrivò tutta la banda, infagottata e con i guanti senza dita.
La situazione era fredda sotto tutti i punti di vista, quello meteorologico e quello psicologico.
I tre Re Magi, poco credibili con i loro abiti da carnevale, si affiancavano ai loro cammelli imprestati dal circo.
La temperatura non era quella del deserto, il termometro digitale della piazza segnava meno tre e i cammelli sembravano scivolare sull’umidità che gli avvolgeva , le loro gobbe erano tristemente sgonfie come demoralizzate da tutta quella farsa.
Ma i genitori portavano i loro figlioli per far vivere loro la fine delle Feste Natalizie e guardare i cammelli con i Re Magi che avevano perso la strada.
Quell’anno, a dare più enfasi all’evento, vi era anche un emittente televisiva locale.
 La gente si disponeva lungo il tragitto che avrebbero fatto i Re Magi con i loro cammelli e la banda cominciava ad allinearsi per la parata.
Terenzio, il fagottista, aprendo la custodia del suo fagotto rimase senza fiato.
Si era fatto imprestare un fagotto cinese per l’occasione, dato che il suo era nuovo e non voleva esporlo a temperature così basse, ed era passato a prenderlo la mattina stessa.
Quando aprì finalmente la custodia si accorse che mancava la Esse (il piccolo tubicino ricurvo dove si colloca l’ancia, senza la quale il fagotto non suona)
Il capobanda intanto lo incitava a mettersi in riga perché il corteo stava per partire.
Terenzio non sapeva cosa fare, pensò di fingersi improvvisamente indisposto ma mentre ragionava a tutta velocità sul da farsi, vide un pezzetto di fil di ferro verde, di quelli che si usano per le recinzioni.
Era della lunghezza giusta e velocemente lo piegò a forma di esse, lo mise sul fagotto, vi inserì l’ancia e si mise in fila.
Salvo.
“Ma che esse hai?” gli chiese Alfio
“E’ un modello di ultima generazione, l’ho appena comprata” rispose serio Terenzio
“Sentiamo”
“No, suona molto forte non vorrei spaventare i cammelli”
La banda partì e Terenzio soffiava come se suonasse veramente e la condensa colava dall’ancia.
Le telecamere della tivù locale riprendevano l’evento e una si mise a filmare Terenzio con il suo fil di ferro.
“Guarda mamma!” esclamò un bambino davanti alla televisione
“Quel signore sputa mentre suona, c’è un filo di bava che esce, che strumento è”
“Non so di preciso” rispose la mamma “Sarà un Filotto”
L’inquadratura cambiò e le gobbe flaccide dei cammelli misero a tacere ogni commento sul Filotto per poi passare alla pubblicità dove il bambino finalmente sorrise felice.


A Banda Larga

Quando il nuovo maestro entrò in sala prove si creò un silenzio irreale.
Viso serio, sguardo assorto e voce profonda.
“Maestro dia il La” disse al primo oboe e Rick soffiò un La
“Ah, ah” sorrise divertito il maestro “ simpatico! adesso lo dia seriamente”
Rick non capì la battuta, sorrise e ridiede lo stesso La
"Cos'è una barzalletta?" pensò il direttore.
Guardò la banda come si guarda una macchina nuova e disse
“Mo go scià la Ferrari, mo schisci” (Adesso ho la Ferrari, ora posso andare veloce)
La prova iniziò e il maestro, con movenze ispirate, dirigeva con impeto.
Poche battute e fermò improvvisamente la corsa e indicando Sandro, nascosto dietro il suo contrabbasso ad ancia, lo guardò con due occhi da giustiziere e gli disse:
“Si alzi” e Sandro timidamente si alzò
“Lei ha sbagliato?” e non sentendo risposta “ Si lei ha sbagliato, glielo dico io. Confessi!”
“Si ho sbagliato”
“Si sedia” e con un sorriso soddisfatto rimise il piede sull’acceleratore.
Prima o poi toccò  a tutti alzarsi e ammettere la propria colpa.
“Li ho in pugno” pensò il direttore quando scese dalla sua Ferrari lasciandosi alle spalle una banda fiaccata.
“Ho fuso il motore” disse Tarzan stremato da tutto quel battere come un pistone sui timpani.

Il giorno dopo la prova si svolse con lo stesso clima da formula uno e pian piano la banda cominciò ad abituarsi a quel Maestro che si credeva dio in terra e alla fine si divertivano a sbagliare apposta per alzarsi e ammettere che avevano sbagliato.
“E’ come essere a Forum” commentavano divertite Luisa e Maurizia che avevano cominciato a sbagliare più del solito solo per avere la soddisfazione di entrare “in trasmissione” e mostrare il vestito nuovo.
Il giorno che dovevano provare l’intermezzo de“L’amico Fritz”  di Mascagni , Giorgio si alzò e non perché aveva sbagliato ma per dire di andare a chiamare Mimmo Sauro.
Ogni volta che suonavano l’Amico Fritz  era prassi far salire in sala prove Mimmo Sauro, perché tutti sapevano che se c’era una cosa che piaceva a Mimmo era l’intermezzo dell’Amico Fritz.
“C’è il tuo amico” gli citofonavano e lui usciva dal suo antro  e lentamente, fumando una sigaretta, raggiungeva la sedia di paglia della sala e si sedeva ad ascoltare.
E ogni volta si commuoveva … e lentamente, con un mezzo sorriso, tornava nel suo mondo di nebbia dove la Gazzetta dello Sport l’aspettava.

Il Gran Direttore in quel periodo di prove non mancò di elargire ai musicisti la sua filosofia riguardo alla musica.
“La musica è come un rastrello, deve avere tutti i denti così quando lo tiri non rimane indietro nemmeno una nota.”
“La musica è come un treno, c’è sempre l’ultima carrozza” e il riferimento al tram di Sandro si rivelò non essere per nulla casuale.
“La musica è come camminare lungo una staccionata e con un legno battere contro i piloni, tutti bisogna prenderli, non bisogna saltarne nemmeno uno”

Una settimana di prove e poi il giorno del concerto.
Dopo venti minuti ci fu il primo fuori programma: Giuseppe era svenuto.
All’intervallo Houdinì pulì il clarinetto tra lo sguardo  incredulo dei colleghi.
Lui che non suonava mai quella volta suonò, almeno così sembrava.
Nella seconda parte del concerto il secondo fuori programma:  Sandro aveva frenato in ritardo col suo contrabbasso a tram, facendo arrivare anche quella volta l’ultima carrozza al capolinea.
“Me.. me..merda rifatti i i i  freni” gli sussurrò Adriano.
Il concerto finì  e l’applauso partì, rumoroso come una ventola di raffreddamento.
 La banda aveva colpito ancora. Aveva lasciato tutti senza fiato.
Ancora una volta era riuscita a rapinare il cuore del suo pubblico e a conquistare il riscatto agli occhi di chi non ci avrebbe speso due lire.
Arrivato a casa Mario si soffermò ad osservare il “Puffo bombardiere” della sua collezione di Puffi suonatori e alzò le spalle sorridendo.
Con un sospiro spense la luce e si addormentò fra la pause del suo spartito.


giovedì 8 novembre 2012



Nel silenzio l’incenso  profumava l’aria disegnando sentieri invisibili verso un’altra dimensione.
All’interno del tempio il fruscio lontano della veste di un monaco segnava il confine con la realtà.

Fuori gli aquiloni cercavano di fermare il vento impazienti di abbandonarsi lungo la strada che corre oltre le nuvole.
I ragazzi, col naso per aria guardavano i loro sogni volare nel cielo
che, con la forza di seta dei loro fili, resistevano al vigoroso soffio che usciva dalle guance rosse di quel giorno ormai al tramonto.
Lungo il sottile confine che tracciava il filo degli aquiloni, come una voluta d’incenso, i ragazzi si ritrovarono a guardare dal cielo dei giovani col naso all’insù che li reggevano con un lungo spago.

La prima stella comparve, come cristallina nota nel silenzio della sera e una lontana nuvola arancione, come la veste di un monaco, segnava il confine con la realtà.