Viola era una bambina
determinata.
Poche
parole, niente capricci e tanta voglia d’indipendenza.
Portava
in giro i suoi sei anni con allegria, tenendoli per mano insieme al
suo orsacchiotto Bruno, perlopiù taciturno e sempre sereno.
Viola
teneva i suoi sogni in giardino, liberi di crescere alla luce del
sole e qualcuno nel cielo, dove, agganciati all’aquilone,
ispezionavano il confine oltre la sua immaginazione.
Seduta
accanto a Bruno, fuori dalla porta di casa, assisteva al passaggio
del pomeriggio chiuso nelle borsette delle donne che chiacchieravano
tra loro, nelle borse degli uomini che allungavano il passo verso
l’ufficio, negli zaini dei ragazzi che correvano sulle loro
biciclette e appoggiato al bastone dei vecchi.
Rientrava
a casa portando con sé la voglia di vita che il pomeriggio,
passando, aveva lasciato nell’aria.
Alla
sera, dopo aver messo a letto l’orsacchiotto, andava alla finestra
della sua camera a guardar le stelle che la notte aveva acceso per
ritrovare la via di casa quando arrivava l’ora di rientrare.
Sotto
le coperte chiudeva gli occhi come un sipario alla fine del primo
atto, quello della veglia, e nel buio s’incamminava verso il
secondo atto, quello dei sogni.
Quando
riapriva il sipario dei suoi occhi di ritorno dai sogni, sul cuscino
rimaneva sempre un po’ di nostalgia per quel mondo incredibile dove
le emozioni valgono più dei fatti e delle parole.
Viola
aveva un sogno, andare a trovare sua nonna Maria che ormai da quasi
un anno si era trasferita in Paradiso. C’era qualcosa che non la
convinceva di quella faccenda.
Non
una telefonata, una lettera, nemmeno per il giorno del suo
compleanno. Quando chiedeva alla mamma come stava la nonna lei
rispondeva “Da Dio”.
“Ma
perché non si fa più vedere né sentire?”.
“E’
troppo impegnata a sistemare le sue gioie negli armadi della
felicità” le rispondeva sorridendo.
Poi
una notte la sognò. Era circondata di scatoloni davanti a decine di
armadi che spalancavano le ante per farsi riempire di gioia. Lo
sguardo cadde sul vestito della nonna colorato da mille fiori; era un
semplice grembiule, ma ciò che stupì Viola era che fosse
stropicciato. La nonna non portava mai vestiti stropicciati.
“Povera
nonna” pensò “ non ha nemmeno il tempo di stirare” e così ,
finito il secondo atto e riaperto il sipario al nuovo giorno, prese
la decisione di andare a cercarla.
Tirò
fuori dal garage dietro la porta la sua macchina a pedali e caricato
il ferro da stiro partì.
Fuori
dal cancello svoltò a sinistra e felice, col sole in fronte, diede
una strombazzata col suo clacson a trombetta.
Pedalò
lungo la strada che costeggia i prati che ben conosceva, si fermò a
bere e a far rifornimento alla fontana del Plin e si rimise in
carreggiata.
“Da
dove arrivi?” le chiese la mamma al ritorno, dopo che ebbe
parcheggiato.
“Sono
stata a trovare la nonna” rispose Viola scendendo tutta sudata
dalla macchina e senza aggiungere altro se ne andò in camera sua ad
aspettare le stelle.
“E
come sta?” sussurrò la mamma quando rimase sola.
Le
stelle arrivarono alla chetichella, le più secchione prima ancora
che il giorno finisse di sbarazzare tutte le meraviglie che aveva
esposto sotto il sole, le più occupate in ritardo, le più timide si
sistemarono in fondo al cielo e le più birichine si nascosero
dietro alla lavagna per non rispondere all’appello.
Dopo
aver cercato di decifrare i messaggi delle stelle s’infilò sotto
le coperte e stanca per la faticosa giornata s’addormentò prima
del suo orsacchiotto.
Preso
il biglietto partì con il primo sogno diretto dalla nonna.
Era
ancora alle prese con la gioia da riporre negli armadi, ma appena lei
arrivò la nonna si voltò e le sorrise strizzando l’occhio nel suo
grembiule stirato a dovere.
A
colazione la mamma le disse che aveva sognato la nonna vestita di
fiori, con petali che parevan stirati da un angelo.
In
giardino Viola alzò il suo aquilone nel vento e
vide la realtà prendere forma nel regno dell’immaginazione.
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