“Torna indietro!” il bruco la richiamò, “ho qualcosa di importante da dirti!”. Sembrava promettente: Alice si voltò e tornò indietro. “Mantieni
la calma,” disse il bruco.
(Lewis
Carroll, Alice nel paese delle meraviglie)
Una
bella e simpatica citazione per sottolineare l'importanza della calma e della
forza che in essa si può trovare.Mi son
sempre piaciuti i tempi lenti della musica, le note del pezzo che si muovono
magari con andatura “pigra” ma che possono creare un'atmosfera ricca di
tensione e... energia.
I
tempi lenti, a volte, rimangono più nella testa che non le “cascate” di note
dei movimenti veloci.
Così
ho provato a scrivere un brano che avesse queste caratteristiche: melodico,
lento e d'atmosfera.
Chissà
se ci son riuscito....
Il
fagotto cantabile e dolce ma anche colmo di tensione nella sua sonorità acuta
mi pare che si possa ben adattare a questo scopo.... Giudicate anche voi, dopo
l'ascolto.
Un
grazie sempre al Maestro Michele che si è reso disponibile a “studiare”,
eseguire e registrare in modo eccellente questo mio brano realizzato “a
distanza” con suoni “virtuali”.
Nelle campagne, fra le nebbie
che si distendono sui campi, risuonano le campane vespertine della
chiesa di San Giuseppe.
Augusto,
il piccolo campanaro, aggrappato alle corde, sale e scende coi
rintocchi che risuonano armoniosi. Sospeso nel silenzio, si lascia
cadere dentro al suono che rimbomba nel suo cuore, facendolo
scoppiare di gioia.
Come
una nota, saltella in un invisibile pentagramma e se ne va lontano,
spinto dall’entusiasmo sull’altalena della musica.
Nel
silenzio uscirà al fresco della sera e poco importa se la nebbia
avrà tirato le coperte sui campi, nascondendoli nel buio, perché
lui, Augusto Migliavacca, nel buio ci vive da quando è nato e come
tutti i ciechi sente cose che chi vede non sente.
Nato
a Parma nel 1838, all’età di sette anni si trova fra le mani un
violino, quattro corde dove far saltare le dita con lo scampanellio
della gioia che risuona in tutto il corpo. Dentro la torre campanaria
e seduto sui covoni di fieno, esplora l’universo tirato su quelle
quattro corde. Si attacca al violino per camminare, con la luce della
musica, lungo la distesa delle emozioni e va lontano il piccolo
Augusto, così lontano che riesce a volare più in alto di quando era
appeso alle corde delle campane.
Nato
in una famiglia povera non vede l’arroganza e l’agiatezza e
appena il suo violino incomincia a intonare la passione con
l’abilità, inizia la sua carriera di violinista vagabondo. Parte
per una tournèe fra le osterie e le cascine del Piemonte insieme ad
uno stridulo suonatore di chitarra, una sorta di Lucignolo che
oscurerà la sua bravura. Rientrato a Parma fonda il “Trio
Migliavacca” insieme al violinista Giuseppe Ferrari ed al
violoncellista Bartolomeo Marchesi, con i quali si aggirerà per le
vie, le piazze e i cortili di Parma. Come un trio di banditi si
affrontano, a suon di musica, con il trio di un certo Zinzani davanti
alla popolazione, per ottenere la supremazia e la sopravvivenza nella
città. Ne usciranno vincitori fra l’applauso della folla e le
campane che suonano a festa.
“Il
Paganini dei suonatori ambulanti” lo definiscono, ma lui, a
differenza di Niccolò, concede parecchi bis a poco prezzo, due, tre
centesimi gettati nel piattino delle elemosine. Quando si ammala di
pleurite, sulla “Gazzetta di Parma” lanciano una raccolta fondi
per curarlo, come già fecero per comprargli un nuovo violino dopo
che il suo si ruppe con un colpo di tosse.
L’
11 maggio del 1901, avvolte da un’insolita nebbia, le campane della
chiesa di San Giuseppe suonano a morto in un silenzio di fantasmi.
Augusto,
aggrappato alla corda della musica, rimbalza nel cielo col rintocco
dell’ultima campana. Da allora, quando le nebbie si diradano, il
sole arriva cantando la sua brillante Mazurka.
“De tout ce temps”(1983) per fagotto solo nasce da “una
costola” di “Rapsodie” un mio brano del 1978 per fagotto e
undici archi. Questo modus operandi è una consuetudine frequente nei
mie lavori: infatti amo molto rivisitare mie vecchi pezzi per
estrarne frammenti da sottoporre a nuove varianti, nuovi percorsi
compositivi.
Il brano, della
durata di poco più di quattro minuti, si sviluppa essenzialmente
nella zona timbrica medio alta, così espressiva e densamente
comunicativa, in cui il ricordo stravinskiano dell’attacco del
“Sacre” non viene celato anzi esaltato. L’andamento melismatico
viene alternato con suoni medio gravi, fluidificando il discorso in
varie sfaccettature , comparendo anche l’uso (quanto mai ponderato)
di suoni multifonici. Dopo un breve episodio, vagamente minaccioso,
incentrato su suoni gravi, il brano si conclude proponendo nuovamente
il materiale iniziale, opportunamente variato in una pacata
rarefazione sonora.