Viaggi fantastici, itinerari fantasiosi per bambini di ogni età, dentro e fuori dal fagotto
martedì 26 maggio 2020
giovedì 21 maggio 2020
sabato 16 maggio 2020
LA TROTA
Immersa nel suo mondo
silenzioso di dolci parole affogate nell’acqua, la trota nuotava
nelle correnti che scorrono senza posa seguendo i soliti percorsi,
tutte le sue domande annegate in bolle d’aria che volavano verso
la superficie.
Poi,
in un giorno d’acqua calma, nel pertugio trasparente
dell’intuizione, vide oltre le acque oscure del suo mondo. Puntini
rossi, come pianeti lontani.
Ne
percepì l’odore, il sapore e la forza traente che emanavano.
Dovette
imparare a nuotare contro corrente, a non ascoltare i discorsi vuoti
degli altri pesci, a non abboccare all’amo delle abitudini, prima
di trovare il coraggio di volare.
“Un
pesce che pensa di poter volare non è degno dell’acqua che
respira” e la isolarono come un’appestata, contagiata dal virus
della follia.
Ma
lei dava retta al suo cuore, che iniziava a mostrarle il percorso che
l’avrebbe portata a raggiungere pianeti inesplorati.
Tutto
girava come al solito quel giorno, le stesse ciarle sul tempo, sulla
speranza, i soliti colpi di coda e le solite lamentele.
La
nostra trota s’immerse nel fondo e caricata di ferrea volontà
prese la rincorsa e si tuffò oltre il cielo del suo mondo.
Volando,
come un miracolo possibile, raggiunse il ramo che pendeva sull’acqua,
dove le bacche le regalarono il sapore della vera felicità.
giovedì 14 maggio 2020
W. Presser PARTITA for bassoon
William Presser (1916-2004) è un compositore americano.
Nel suo vasto catalogo troviamo, tra le varie composizioni dedicate agli strumenti a fiato, questa “Partita” per fagotto solo del 1967. Si tratta di
una composizione in quattro brevi movimenti dal carattere ironico,
che sfruttano le potenzialità del fagotto in tutta la sua
estensione.
una composizione in quattro brevi movimenti dal carattere ironico,
che sfruttano le potenzialità del fagotto in tutta la sua
estensione.
Il termine Partita, che nel XVI e XVII secolo indicava un genere musicale per strumento solista a cui nella seconda metà del XVI secolo si applicò una
serie di variazioni, ho pensato di interpretarlo come una partita
sportiva e nello specifico di croquet, abbinando ad ogni movimento
della composizione un quadro relativo al simpatico e sereno gioco.
serie di variazioni, ho pensato di interpretarlo come una partita
sportiva e nello specifico di croquet, abbinando ad ogni movimento
della composizione un quadro relativo al simpatico e sereno gioco.
Come tutti i musicisti sento il bisogno, a discapito dell’avversità di questo
periodo segnato da una linea invisibile che ci tiene lontani dal
pubblico, di esercitare l’arte per la quale abbiamo dedicato la
vita e alla quale crediamo come l’aria che pervade ogni cosa.
periodo segnato da una linea invisibile che ci tiene lontani dal
pubblico, di esercitare l’arte per la quale abbiamo dedicato la
vita e alla quale crediamo come l’aria che pervade ogni cosa.
Mi sono così cimentato in questa “Partita” formata da quattro porte
(Andante-Tempo di valse- Alla marcia-Molto allegro) nelle quali ho
fatto passare la musica colpita dal mio fagotto, sperando di regalare
una ventata di serenità.
(Andante-Tempo di valse- Alla marcia-Molto allegro) nelle quali ho
fatto passare la musica colpita dal mio fagotto, sperando di regalare
una ventata di serenità.
Registrazione in modalità lockdown, casalinga e piena di buone intenzioni. Il brano non mi risulta essere mai stato registrato. Bene, ora non vi rimane
che assistere alla Partita.
che assistere alla Partita.
Consigliato l'uso delle cuffie
lunedì 11 maggio 2020
GERTRUDE
Tra i mulinelli del vento le
foglie danzavano alzando le loro gonne brune, trafugate nell’armadio
dell’autunno. Volteggiavano festose nella piazza vuota sotto lo
sguardo tenue dei primi raggi del sole, che spiava da dietro le
montagne.
Gertrude
le osservava estasiata, seduta nel suo nido di rami rossi come una
poltrona in prima fila. Amava la danza, e la scovava in tutto ciò
che si muoveva con grazia: negli steli d’erba che si piegavano alla
brezza, nei rami che molleggiavano nell’aria dopo che gli uccelli
li avevano lasciati per spiccare il volo. Nel pasodoble delle
lucertole in amore, nelle giravolte del falco e nei semi dell’acero,
che si avvitavano veloci nel muro del cielo. L’ammirava quando era
ferma in un girotondo di petali sulle gambe dei fiori o nei passi
delle nuvole modellate dal vento.
Quando
il giorno spegneva la musica sulla sua pista da ballo, Gertrude si
preparava a danzare. Si metteva il suo tutù rosa e si addormentava
in attesa del sogno che la portava al ballo del principe, dove non
bastavano tutte le sale del castello per farle eseguire i passi di
danza che le sue gambe conoscevano. Durante la veglia non osava
ballare, poiché credeva che la danza fosse bellezza, mentre lei era
brutta e sgraziata come uno sgambetto.
La
mazurca che covava nel nido era chiusa in un guscio di paura e come
un sasso nel fiume Gertrude lasciava che la vita le scorresse intorno
senza riuscire ad abbandonarsi. Poi un giorno, col calore della sua
passione l’uovo si schiuse, lasciando libera la sua mazurca che si
mise a volare per tutto il bosco.
I
ballerini, sparsi nelle sale da ballo del bosco, con balzi e
rimbalzi, arrivarono davanti al suo nido per invitarla a danzare.
Gertrude, davanti a tanto entusiasmo, indossò il suo tutù rosa e
finalmente concesse alla vita il suo ballo.
Il
principe dei sogni, dal suo castello fra le nuvole, salì sulla torre
più alta e sorridendo allungò un raggio si sole che si unì alla
festa danzando in un vortice di polvere.
venerdì 8 maggio 2020
lunedì 4 maggio 2020
Il piccolo cerbiatto
Mimetizzato il muso fra il
cespuglio di more, il giovane cerbiatto scrutava il prato che
rotolava giù, sino al fiume. Era la prima volta che usciva da solo,
la prima volta che avrebbe voluto essere una mora.
Il
vento faceva le capriole sul prato, trascinando con sé l’odore
acre della sua paura.
-Il
vento non smette di giocare- pensò immobile dentro al cespuglio.
Rimase
a imitare le more aspettando che l’aria frenasse la sua corsa e
smettesse di fischiare divertita.
Aveva
sete e il bicchiere pieno di paura.
Il
fiume lontano gorgogliava invitante, ma il coraggio del cerbiatto non
arrivava così distante.
Spazzato
dal vento il pomeriggio volgeva al termine e le prime ombre della
sera cominciavano ad allungare le orme degli alberi.
Il
freddo iniziò ad avvolgerlo come un gelato ai frutti di bosco e
prima che si sciogliesse in un lago di paura, rinunciò ad andare ad
abbeverarsi al fiume.
Sulla
via del ritorno, con la gola secca e il passo lento della delusione,
incontrò una taccola che tornava da un giro oltre il fiume.
Nel
vedere lo sconforto del cerbiatto si sentì in dovere di fermasi e
gli chiese:
“Che
ti è successo per essere così triste?”
“La
paura mi incatena le zampe, mi toglie il piacere della libertà e mi
secca la gola”
Rispose
il cerbiatto intimorito da quell’uccello nero come un tassello
della notte.
“La
paura è l’arma che ti salverà, devi solo saperla usare”
sventolò la taccola.
“Ma
la paura mi fa paura”
“Prendila
con dolcezza, accarezzala per calmarla e lasciala parlare”.
Un
giravolta intorno al muso del cerbiatto e riprese:
“Ti
indicherà le strade ai crocevia e ti porterà lontano dove, stanca,
si siederà a guardarti correre verso la vera felicità”
“La
vera felicità?”
“Quella
dove non hai più paura, perché hai rinunciato a te stesso”.
Un
colpo d’ali e sparì nel buio della notte confondendosi con il
nero, pieno di angoscia, o con il nulla, libero dalla paura.
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