Sballonzolato dalle buche
della paura, col cuore che saltava in petto, ricordò l’incendio che qualche
anno prima ridusse in cenere la piccola città vicino a Dresda dove campava
suonando alle feste di paese. Pensò alla fuga dalla morte che quella volta
cercava di lambirlo con abbracci infuocati.
Ricordò quando, a soli
dieci anni, si ritrovò orfano.
Rammentò il silenzio che
lo avvolse nella sua coperta bianca, quando, nell’officina di fabbro del padre,
il martello smise di battere il tempo della felicità.
Seguendo la scintilla
della musica, che brillava nella sua anima, sprigionata dal maglio che batteva
sull’incudine della passione, andò dallo zio musicista che lo tenne con sé
cibandolo di pane e musica. Ma ancora una volta la morte lo sfiorò portandosi
via lo zio dopo soli tre mesi.
Quando il sole si svegliò
stirandosi in raggi luminosi, Johann tirò un sospiro di sollievo vedendo che
nessuno più lo inseguiva.
Ancora una volta era
riuscito a scappare alla morte.
Johann Joachim Quantz,
nato nel 1697 a quel tempo era al servizio del re di Polonia in qualità di
flautista e compositore di corte.
La regina di Prussia
quando lo sentì suonare ne rimase così affascinata che pensò di non poter più
fare a meno di quel pifferaio magico, e gli offrì un lauto compenso affinché
rimanesse nel suo castello ad incantarla con la sua musica.
Ma il re suo padrone non
lo permise, tenendo quel gioiello prezioso fra i tesori della corona. Concesse però
che Johann si recasse una volta all’anno ad impartire lezioni di flauto a
Federico, il principe reale.
Federico era un giovane
sensibile, appassionato di musica e aspettava l’arrivo di Quantz con la stessa
sete che ha una pianta nel deserto.
Quando divenne Federico II
re di Prussia lo volle a corte disposto a pagarlo 2000 talleri contro gli 800 che Federico Augusto,
successore del re di Polonia gli offriva.
Fu così che Johann divenne
il musicista più pagato dell’epoca, considerando anche che il re remunerava
ogni sua composizione a parte, con moneta sonante.
Quando Federico II
lasciava il castello, insieme ai bauli portava con sé anche il suo
clavicembalo, suonato dal quinto dei venti figli di Bach, Carl Philipp Emanuel
ed il suo Johann, coi quali passava le serate ad appendere arazzi d’armonie
intrecciati con la musica, nei salotti dei nobili.
Quantz era l’unico che
poteva applaudire ai concerti del re e la sua musica l’unica che poteva essere
eseguita a corte, oltre ovviamente a quella di Federico II.
Musiche clandestine, fra
le quali quelle di Carl Philipp Emanuel Bach, risuonavano in segreto nelle
cantine, facendo vibrare le fondamenta del castello.
Il 13 luglio del 1773 lo
strepitio di una carrozza risuonò tra le vie di Postdam.
Il suono veloce delle
ruote, accompagnato dai nitriti dei cavalli, si avvicinava sempre più.
Johann fermò il passo
allungato verso il domani e in silenzio chiuse gli occhi, lasciando che la
morte, svoltato l’angolo nella sua carrozza
che arrivava da Napoli, lo investisse. Aveva settantasei anni e riempito
le stanze della musica con i meravigliosi arazzi delle sue composizioni.
Tutto questo per invitarvi
ad ascoltare un suo capriccio per fagotto solo, un piccolo intreccio
nell’immensità della sua produzione, che ho registrato durante i mesi di
reclusione con l’accusa di favoreggiamento.
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