Questa è la
storia di Hamid, nato povero ai confini del deserto.Uscendo dalla
sua tenda contemplava quel mare di sabbia che tanto lo intimoriva e scrutava il palazzo del Sultano che tanto lo attraeva.
Quella notte l’incantevole Hadiya aveva fatto uno strano sogno:
si
trovava in un magnifico giardino pieno di fiori profumati quando
improvvisamente una minacciosa nuvola nera, carica di fulmini, scese sul
giardino con grida tuonanti avvolgendola completamente.
La
principessa si ritrovò in un attimo in mezzo ad una bufera e cercò di scappare, ma non riusciva a
correre e sentiva le saette colpire l’aria e aveva paura; era convinta di
soccombere quando arrivò un ragazzo accompagnato da una incantevole canzone e
aperta una grande sacca vi raccolse il
temporale, chiuse la borsa con una forte corda e se ne andò suonando quel sacco
che si era trasformato in uno strumento musicale.
Si
svegliò e iniziò a piangere.
C’era una cosa che faceva impazzire Hamid: la musica.
Nelle sere
d’estate non era difficile udire echi di musica arrivare dal palazzo del
Sultano illuminato a festa da mille candele.
Hamid allora
si sedeva sotto il sicomoro e ascoltava rapito i suoni che il vento caldo del
deserto gli portava dal castello e sognava ad occhi aperti .
Sognava di
poter un giorno suonare.
“Ma ci
pensi!” diceva spesso al suo amico Dawud “riempire l’aria di suoni! ...è come vivere
in un altro mondo!” e rimaneva in silenzio ad ascoltare.
Un giorno s’imbatté
nell’ orchestra d Baharyia che si recava al palazzo per un concerto in occasione del diciottesimo compleanno
della figlia del Sultano, l’incantevole Hadiya, la ragazza più bella del mondo.
La
leggenda narra che bastava uno sguardo per innamorarsene perdutamente.
Hamid
rimase incantato ad osservare l’orchestra in cammino verso il palazzo.
“Ma
che fai!” urlò il contrabbassista cadendo
sul suo strumento e rompendolo in mille pezzi. Hamid, estasiato da tutti quegli
strumenti, non si era accorto di essere fermo proprio in mezzo alla strada e il
contrabbassista, distratto, gli era caduto addosso.
“Che succede qui!” gridò il capo orchestra
vedendo il contrabbassista steso al suolo sopra quello che rimaneva del suo strumento.
“E’
tutta colpa di questo ragazzo che se ne sta imbambolato in mezzo alla strada”
si giustificò il musicista. Hamid, con gli occhi bassi, rimase in silenzio amareggiato.
“Bene, tu verrai con me” decise il capo orchestra e
preso Hamid lo portò dal Sultano
“Come
sarebbe l’orchestra non ha il contrabbasso!?” s’infuriò il Sultano dopo aver
ascoltato il resoconto del capo orchestra.
“Ecco
chi dovete ringraziare Vostra Altezza” e il povero Hamid fu spinto davanti al
pascià.
“Piccolo
moccioso non mi importa come farete, ma fra cinque giorni nell’orchestra dovrà
esserci il contrabbasso altrimenti finirete nelle prigioni reali” detto ciò se
ne andò senza degnare nessuno di uno sguardo.
Il
povero Hamid cercò di trattenere le
lacrime.
“Su
non piangere ti aiuterò io” gli sorrise Bashir il fagottista e lo portò nei giardini del
palazzo.
Si
sedettero sotto un albero e si guardarono senza parlare.
“Come
pensi di aiutarmi?” chiese impaziente Hamid
“Non
lo so” rispose Bashir
“Non
lo sai!?”
“Ci
devo pensare” e si sdraiò sul prato a contemplare le nuvole.
Le
scrutò: vide castelli, intravide draghi e animali fantastici.
Le
osservò colorarsi giocando con il sole: le scoprì serene e sorridendo, senza
distogliere lo sguardo dal cielo si rivolse ad Hamid “Non c’è nulla di cui
preoccuparsi, non aver paura, abbandonati alla vita” e dopo un attimo di
silenzio proseguì “ ciò non vuol dire che dobbiamo starcene con le mani in
mano” e alzatosi s’incamminò nel prato seguito da Hamid.
“Dobbiamo
trovare un contrabbasso” disse il fagottista e accompagnò Hamid sino ad una
vecchia capanna. Bussò e senza aspettare risposta entrò seguito da Hamid.
Nella
casupola vi era un vecchio derviscio seduto su un cuscino con le gambe
incrociate e gli occhi chiusi, pareva starsene in un altro mondo.
Con gli occhi chiusi, prima ancora che il
fagottista aprisse bocca, il derviscio disse
“C’è un contrabbasso nel deserto, da Mandhur l’Equilibrato.
Lo usa come appendi abiti”
“Nel
deserto?” esclamò incredulo Hamid appena uscirono dalla capanna
“non
penserai che mi avventuri in quel forno come un pezzo di carne da cuocere! “
“Mi
sembra che tu non abbia molta scelta” rispose Bashir
Tu
che strumento suoni?” volle sapere Hamid
“Il
fagotto” rispose Bashir
“Me
lo faresti sentire?”
“Certo”
e accompagnatolo nella sala della musica montò il suo fagotto e iniziò a
suonare.
Hamid
non aveva mai sentito suonare un fagotto e se ne innamorò perdutamente, quasi
fosse la principessa Hadiya
“Me
lo insegni?”
“Si,
dopo che abbiamo trovato il contrabbasso”
“No”
rispose secco Hamid “subito”
Bashir
sorrise, conosceva bene quel desiderio impellente e non lo avrebbe deluso.
Fu
così che quel pomeriggio passò a frulli d’ancia, scrocchi e note lunghe.
“Sei molto bravo!” gli disse Bashir e alla
sera una nuova musica riempiva l’aria, era la canzone di Hamid.
Alle prime
luci dell’alba Bashir svegliò Hamid
“E’ora di
partire, sarà una lunga giornata” e porse ad Hamid una borsa
“Cos’è?”
chiese curioso Hamid
“Il mio
fagotto”
“Perché lo
dai a me?”
“Ti servirà”
“Cosa
significa? tu non vieni?”
“Ci sono
viaggi che vanno affrontati da soli” fu la risposta di Bashir
e ad Hamid non rimase che procurarsi il necessario per affrontare il deserto,
mettersi in spalla il fagotto di Bashir e
incamminarsi
alla volta di Mandhur l’Equilibrato.
Avventurarsi in un deserto non è cosa da sottovalutare e questo Hamid lo sapeva molto bene, fin da piccolo aveva sentito storie di uomini mai tornati dal quell’inferno di arena,
di
tuareg spariti in tempeste di sabbia o prosciugati dal sole.
Con
la sua tagelmust, un turbante adatto
al clima del deserto, poiché da una parte ripara la testa dal sole e dall'altra
impedisce di respirare sabbia portata dal vento, camminava lentamente cercando
di non perdere la pista lasciata dalle carovane dei nomadi Tubu.
La prima
notte la passò ad osservare attonito la grande luna ed il cielo stellato, a
contare le stelle cadenti e a considerare quanto piccolo fosse in confronto
all’immensità del creato.
Alla mattina
si svegliò in tempo per osservare il sole del dipingere le dune: grigie …
arancioni … rosse e poi dorate.
Poi sabbia,
nient’altro che sabbia e riverbero di luce.
Sabbia e
silenzio assordante.
Improvvisamente
un fragore lo fece voltare e vide ciò che mai avrebbe voluto vedere, una scura
nuvola di sabbia.
Vento, sabbia in tempesta.
Il turbine invase il suo corpo, gli sembrava di
soffocare nella polvere sottile che s'infiltrava nelle narici, nella bocca e nella
gola … l'aria non esisteva più.
Per un attimo, lungo
come tutta la sua giovane esistenza, si trovò perduto senza possibilità di
richiamare il respiro della vita … poi il silenzio … di un vento che se n’è
andato … un profondo vitale respiro … e ... aria!
Fu come
nascere una seconda volta.
La tempesta
di sabbia si era portato via lo zaino con dentro il necessario per vivere, ma
non il fagotto che era rimasto sulle spalle di Hamid.
Si ritrovò ai
piedi una zanna d’elefante e decise di portarla con sé come portafortuna.
La pista era
stata cancellata ma la certezza della morte, che gli si era impressa
nell’animo, rese Hamid inaspettatamente coraggioso e felice.
Tutto ora gli
appariva fantastico, unico, e s’incamminò con serena felicità.
La sera,
appena la luna si alzò all’orizzonte, prese il fagotto di Bashir e iniziò a suonare. Suonò la sua canzone più
e più volte, fino a che il fagotto faticava a suonare. Provò a smontarlo e si accorse che nella parte bassa dello
strumento si era formata così tanta condensa, col freddo del deserto e l’aria
calda del suo fiato, da riempirne un piccolo bicchiere. Allora bevve.
Bevve alla
luna, alla speranza di poter sopravvivere.
Brindò a quel
miracoloso strumento: il fagotto.
Bevve e
riprese a suonare finché un nuovo bicchiere si riempì.
Bevve ancora e
finalmente si addormentò.
Per
altri due giorni Hamid vagò per il deserto riuscendo a sopravvivere suonando il
fagotto alla sera, quando la temperatura del deserto scendeva e l’aria calda
del suo fiato formava la vitale condensa.
Il
quarto giorno finalmente raggiunse la capanna di Mandhur.
Lo
trovò seduto a gambe incrociate e ad occhi chiusi come il vecchio derviscio.
“Buongiorno”
lo salutò, ma il vecchio non rispose.
Sembrava
non sentirlo, provò a richiamarlo.
Finalmente
Mandhur apri gli occhi.
“Cosa
ti porta nel cuore del deserto?” chiese sorridendo
“Sono
venuto a prendere il vostro contrabbasso” rispose senza preamboli Hamid
“Non
so di cosa stai parlando, io non ho nessun contrabbasso”
Hamid
si guardò intorno e vide quello che sembrava essere l’unico indumento del
vecchio appeso ad un contrabbasso
“E
quello cos’è?” disse indicando il contrabbasso
“Il
mio appendi abiti”
“E’
un contrabbasso” spiegò Hamid
“Ma
pensa! ... se lo prendi io non avrò più un appendi abiti” sorrise Mandhur
Allora
Hamid prese la zanna d’elefante che con tanta fatica aveva portato sin lì
“Potresti
usare questa bellissima zanna d’elefante” propose
“Per
me va bene” sorrise Mandhur “ma il
viaggio di ritorno è lungo e con un contrabbasso in spalla ancora di più”
continuò “non credo che tu riesca ad essere di ritorno per domani sera”
“Avete
ragione” si rese conto Hamid “ non riuscirò ad essere a palazzo in tempo per il
concerto, tanto vale che rimanga qui con voi, sperando che i soldati del Sultano
non vengano mai a cercarmi”
“Rimanere
qui con me?” sorrise il vecchio
“Non
puoi. Non hai le capacità per sopravvivere nel cuore del deserto”
“Ma
io ho il fagotto” rispose Hamid
“Interessante
e vediamo un po’: questo fagotto riuscirebbe a farti sopportare la solitudine?
e la fame? e i demoni? e la paura?”
Hamid
rimase in silenzio e sospirando scosse la testa: no, non ci sarebbe riuscito.
“Dietro
la capanna c’è un cammello” sorrise Mandhur “ prendilo e se parti subito vedrai
che ce la farai”
“Grazie!”
sorrise per la prima volta Hamid da quando era entrato in quella stanza
“Come
potrò mai ringraziarvi”
“Non
preoccuparti “sorrise Mandhur e chiusi gli occhi tornò a meditare.
Bashir aspettava ansioso il ritorno di Hamid e grande fu la sua gioia quando lo vide comparire all’orizzonte.Gli corse incontro con una ghirba piena d’acqua e con sorriso che dissetava l’anima. “Coraggio tra poche ore il concerto avrà inizio!” furono le prime parole che disse e una lacrima di felicità gli rigò il viso.
Hamid
scese dal cammello e senza proferir parola lo abbracciò forte come uomo che ha
imparato a tornar bambino e come un bambino pianse senza vergogna.
Quello
che aveva trovato nel deserto non era solo un contrabbasso, ma una nuova
consapevolezza che parlava una lingua a lui sconosciuta prima d’allora, un
mondo dove le emozioni e le percezioni sono
le uniche cose che contano veramente.
“Andiamo”
sorrise a Bashir e s’incamminarono verso il palazzo del Sultano.
Avevano
da poco varcato la soglia quando udirono un pianto.
“E’
la principesse Hadiya” spiegò Bashir “ è da più di tre giorni che piange e
niente e nessuno riesce a farla smettere. Il Sultano non sa più cosa fare per
consolare quel pianto”
Tutto
era pronto: gli invitati arrivati, l’orchestra schierata con tanto di
contrabbasso, le candele di mille candelabri accese, le pietanze accuratamente
servite su piatti d’argento,
le
bevande conservate al fresco, le ballerine già pronte sulle punte dei piedi, i
servitori impomatati e i servi impegnati a rinfrescare l’aria con le palme.
Mancava
solo lei, la festeggiata: la principessa Hadiya.
Solo
il suo pianto arrivava, ma di lei nemmeno l’ombra.
Anche
la luna sembrava essersi avvicinata curiosa ad osservare e ad Hamid, che se ne
stava nascosto dietro il contrabbasso, venne un’idea.
Andò
da Bashir e si fece ridare il fagotto e nel silenzio iniziò a suonare la sua
canzone.
Poche
note e la principessa si affacciò dal suo balcone, guardò incredula il giovane
suonatore e di corsa lo raggiunse tra lo stupore generale.
Sorrideva
e ascoltava. Non riusciva a credere che il ragazzo del sogno fosse lì a suonare
la stessa canzone, a liberarla dalla tempesta che aveva oscurato il suo cuore.
Quando
Hamid finì di suonare la principessa gli sorrise e lui, senza possibilità di
scampo, se ne innamorò perdutamente.
Nel
vedere la sua amata figliola sorridere dopo tanto pianto il Sultano andò da
Hamid e gli ordinò “Chiedimi ciò che vuoi e sarà tuo”
“Voglio
la mano di vostra figlia, la principessa Hadiya” rispose guardando dritto negli
occhi il Sultano.
Fu
così che Hamid sposò l’incantevole Hadiya e ...divenne ricco direte voi.
Certo, ma non della ricchezza di cui tutti vanno in cerca; quella del denaro, ma bensì si ritrovò ricco d’Amore e di quella felicità che solo l’amore può dare.