sabato 27 ottobre 2012



Questa è la storia di Hamid, nato povero ai confini del deserto.Uscendo dalla sua tenda contemplava quel mare di sabbia che tanto lo intimoriva e scrutava il palazzo del Sultano che tanto lo attraeva.



 Quella notte l’incantevole Hadiya aveva fatto uno strano sogno:
si trovava in un magnifico giardino pieno di fiori profumati quando improvvisamente una minacciosa nuvola nera, carica di fulmini, scese sul giardino con grida tuonanti avvolgendola completamente.
La principessa si ritrovò in un attimo in mezzo ad una bufera  e cercò di scappare, ma non riusciva a correre e sentiva le saette colpire l’aria e aveva paura; era convinta di soccombere quando arrivò un ragazzo accompagnato da una incantevole canzone e aperta una grande sacca  vi raccolse il temporale, chiuse la borsa con una forte corda e se ne andò suonando quel sacco che si era trasformato in uno strumento musicale.
Si svegliò e iniziò a piangere.


C’era una cosa che faceva impazzire Hamid: la musica.
Nelle sere d’estate non era difficile udire echi di musica arrivare dal palazzo del Sultano illuminato a festa da mille candele.
Hamid allora si sedeva sotto il sicomoro e ascoltava rapito i suoni che il vento caldo del deserto gli portava dal castello e sognava ad occhi aperti .
Sognava di poter un giorno suonare.
“Ma ci pensi!” diceva spesso al suo amico Dawud “riempire l’aria di suoni! ...è come vivere in un altro mondo!” e rimaneva in silenzio ad ascoltare.

Un giorno s’imbatté nell’ orchestra d Baharyia che si recava al palazzo per un concerto in occasione del diciottesimo compleanno della figlia del Sultano, l’incantevole Hadiya, la ragazza più bella del mondo.
La leggenda narra che bastava uno sguardo per  innamorarsene perdutamente.
Hamid rimase incantato ad osservare l’orchestra in cammino verso il palazzo.
“Ma che fai!”  urlò il contrabbassista cadendo sul suo strumento e rompendolo in mille pezzi. Hamid, estasiato da tutti quegli strumenti, non si era accorto di essere fermo proprio in mezzo alla strada e il contrabbassista, distratto, gli era caduto addosso.
 “Che succede qui!” gridò il capo orchestra vedendo il contrabbassista steso al suolo sopra quello che rimaneva del suo strumento.
“E’ tutta colpa di questo ragazzo che se ne sta imbambolato in mezzo alla strada” si giustificò il musicista. Hamid, con gli occhi bassi, rimase in silenzio amareggiato.
“Bene, tu verrai con me” decise il capo orchestra e preso Hamid lo portò dal Sultano



“Come sarebbe l’orchestra non ha il contrabbasso!?” s’infuriò il Sultano dopo aver ascoltato il resoconto del capo orchestra.
“Ecco chi dovete ringraziare Vostra Altezza” e il povero Hamid fu spinto davanti al pascià.
“Piccolo moccioso non mi importa come farete, ma fra cinque giorni nell’orchestra dovrà esserci il contrabbasso altrimenti finirete nelle prigioni reali” detto ciò se ne andò senza degnare nessuno di uno sguardo.
Il povero Hamid  cercò di trattenere le lacrime.
“Su non piangere ti aiuterò io” gli sorrise Bashir  il fagottista e lo portò nei giardini del palazzo.
Si sedettero sotto un albero e si guardarono senza parlare.
“Come pensi di aiutarmi?” chiese impaziente Hamid
“Non lo so” rispose Bashir
“Non lo sai!?”
“Ci devo pensare” e si sdraiò sul prato a contemplare le nuvole.
Le scrutò: vide castelli, intravide draghi e animali fantastici.
Le osservò colorarsi giocando con il sole: le scoprì serene e sorridendo, senza distogliere lo sguardo dal cielo si rivolse ad Hamid “Non c’è nulla di cui preoccuparsi, non aver paura, abbandonati alla vita” e dopo un attimo di silenzio proseguì “ ciò non vuol dire che dobbiamo starcene con le mani in mano” e alzatosi s’incamminò nel prato seguito da Hamid.
“Dobbiamo trovare un contrabbasso” disse il fagottista e accompagnò Hamid sino ad una vecchia capanna. Bussò e senza aspettare risposta entrò seguito da Hamid.
Nella casupola vi era un vecchio derviscio seduto su un cuscino con le gambe incrociate e gli occhi chiusi, pareva starsene in un altro mondo.
 Con gli occhi chiusi, prima ancora che il fagottista aprisse bocca, il derviscio disse
 “C’è un contrabbasso nel deserto, da Mandhur l’Equilibrato. Lo usa come appendi abiti”
“Nel deserto?” esclamò incredulo Hamid appena uscirono dalla capanna
“non penserai che mi avventuri in quel forno come un pezzo di carne da cuocere! “
“Mi sembra che tu non abbia molta scelta” rispose Bashir 


Tu che strumento suoni?” volle sapere Hamid
“Il fagotto” rispose Bashir
“Me lo faresti sentire?”
“Certo” e accompagnatolo nella sala della musica montò il suo fagotto e iniziò a suonare.
Hamid non aveva mai sentito suonare un fagotto e se ne innamorò perdutamente, quasi fosse la principessa Hadiya
“Me lo insegni?”
“Si, dopo che abbiamo trovato il contrabbasso”
“No” rispose secco Hamid “subito”
Bashir sorrise, conosceva bene quel desiderio impellente e non lo avrebbe deluso.
Fu così che quel pomeriggio passò a frulli d’ancia, scrocchi e note lunghe.
 “Sei molto bravo!” gli disse Bashir e alla sera una nuova musica riempiva l’aria, era la canzone di Hamid.

Alle prime luci dell’alba Bashir svegliò Hamid
“E’ora di partire, sarà una lunga giornata” e porse ad Hamid una borsa
“Cos’è?” chiese curioso Hamid
“Il mio fagotto”
“Perché lo dai a me?”
“Ti servirà”
“Cosa significa? tu non vieni?”
“Ci sono viaggi che vanno affrontati da soli” fu la risposta di Bashir e ad Hamid non rimase che procurarsi il necessario per affrontare il deserto, mettersi in spalla il fagotto di Bashir e
incamminarsi alla volta di Mandhur l’Equilibrato. 



Avventurarsi in un deserto non è cosa da sottovalutare e questo Hamid lo sapeva molto bene, fin da piccolo aveva sentito storie di uomini mai tornati dal quell’inferno di arena,
di tuareg spariti in tempeste di sabbia o prosciugati dal sole.
Con la sua tagelmust, un turbante adatto al clima del deserto, poiché da una parte ripara la testa dal sole e dall'altra impedisce di respirare sabbia portata dal vento, camminava lentamente cercando di non perdere la pista lasciata dalle carovane dei nomadi Tubu.
La prima notte la passò ad osservare attonito la grande luna ed il cielo stellato, a contare le stelle cadenti e a considerare quanto piccolo fosse in confronto all’immensità del creato.
Alla mattina si svegliò in tempo per osservare il sole del dipingere le dune: grigie … arancioni … rosse e poi dorate.
Poi sabbia, nient’altro che sabbia e riverbero di luce.
Sabbia e silenzio assordante.
Improvvisamente un fragore lo fece voltare e vide ciò che mai avrebbe voluto vedere, una scura nuvola di sabbia.
Vento, sabbia in tempesta.

Il turbine invase il suo corpo, gli sembrava di soffocare nella polvere sottile che s'infiltrava nelle narici, nella bocca e nella gola … l'aria non esisteva più.
Per un attimo, lungo come tutta la sua giovane esistenza, si trovò perduto senza possibilità di richiamare il respiro della vita … poi il silenzio … di un vento che se n’è andato … un profondo vitale respiro … e ... aria!

Fu come nascere una seconda volta.
La tempesta di sabbia si era portato via lo zaino con dentro il necessario per vivere, ma non il fagotto che era rimasto sulle spalle di Hamid.
Si ritrovò ai piedi una zanna d’elefante e decise di portarla con sé come portafortuna.
La pista era stata cancellata ma la certezza della morte, che gli si era impressa nell’animo, rese Hamid inaspettatamente coraggioso e felice.
Tutto ora gli appariva fantastico, unico, e s’incamminò con serena felicità.
La sera, appena la luna si alzò all’orizzonte, prese il fagotto di Bashir e iniziò a suonare. Suonò la sua canzone più e più volte, fino a che il fagotto faticava a suonare. Provò a smontarlo e  si accorse che nella parte bassa dello strumento si era formata così tanta condensa, col freddo del deserto e l’aria calda del suo fiato, da riempirne un piccolo bicchiere. Allora bevve.
Bevve alla luna, alla speranza di poter sopravvivere.
Brindò a quel miracoloso strumento: il fagotto.
Bevve e riprese a suonare finché un nuovo bicchiere si riempì.
Bevve ancora e finalmente si addormentò.
Per altri due giorni Hamid vagò per il deserto riuscendo a sopravvivere suonando il fagotto alla sera, quando la temperatura del deserto scendeva e l’aria calda del suo fiato formava la vitale condensa.
Il quarto giorno finalmente raggiunse la capanna di Mandhur.
Lo trovò seduto a gambe incrociate e ad occhi chiusi come il vecchio derviscio.
“Buongiorno” lo salutò, ma il vecchio non rispose.
Sembrava non sentirlo, provò a richiamarlo.
Finalmente Mandhur apri gli occhi.
“Cosa ti porta nel cuore del deserto?” chiese sorridendo
“Sono venuto a prendere il vostro contrabbasso” rispose senza preamboli Hamid
“Non so di cosa stai parlando, io non ho nessun contrabbasso”
Hamid si guardò intorno e vide quello che sembrava essere l’unico indumento del vecchio appeso ad un contrabbasso
“E quello cos’è?” disse indicando il contrabbasso
“Il mio appendi abiti”
“E’ un contrabbasso” spiegò Hamid
“Ma pensa! ... se lo prendi io non avrò più un appendi abiti” sorrise Mandhur
Allora Hamid prese la zanna d’elefante che con tanta fatica aveva portato sin lì
“Potresti usare questa bellissima zanna d’elefante” propose
“Per me va bene” sorrise Mandhur  “ma il viaggio di ritorno è lungo e con un contrabbasso in spalla ancora di più” continuò “non credo che tu riesca ad essere di ritorno per domani sera”
“Avete ragione” si rese conto Hamid “ non riuscirò ad essere a palazzo in tempo per il concerto, tanto vale che rimanga qui con voi, sperando che i soldati del Sultano non vengano mai a cercarmi”
“Rimanere qui con me?” sorrise il vecchio
“Non puoi. Non hai le capacità per sopravvivere nel cuore del deserto”
“Ma io ho il fagotto” rispose Hamid
“Interessante e vediamo un po’: questo fagotto riuscirebbe a farti sopportare la solitudine? e la fame? e i demoni? e la paura?”
Hamid rimase in silenzio e sospirando scosse la testa: no, non ci sarebbe riuscito.
“Dietro la capanna c’è un cammello” sorrise Mandhur “ prendilo e se parti subito vedrai che ce la farai”
“Grazie!” sorrise per la prima volta Hamid da quando era entrato in quella stanza
“Come potrò mai ringraziarvi”
“Non preoccuparti “sorrise Mandhur e chiusi gli occhi tornò a meditare.








Bashir aspettava ansioso il ritorno di Hamid e grande fu la sua gioia quando lo vide comparire all’orizzonte.Gli corse incontro con una ghirba piena d’acqua e con sorriso che dissetava l’anima. “Coraggio tra poche ore il concerto avrà inizio!” furono le prime parole che disse e una lacrima di felicità gli rigò il viso.

Hamid scese dal cammello e senza proferir parola lo abbracciò forte come uomo che ha imparato a tornar bambino e come un bambino pianse senza vergogna.
Quello che aveva trovato nel deserto non era solo un contrabbasso, ma una nuova consapevolezza che parlava una lingua a lui sconosciuta prima d’allora, un mondo dove le  emozioni e le percezioni sono le uniche cose che contano veramente.
“Andiamo” sorrise a Bashir e s’incamminarono verso il palazzo del Sultano.
Avevano da poco varcato la soglia quando udirono un pianto.
“E’ la principesse Hadiya” spiegò Bashir “ è da più di tre giorni che piange e niente e nessuno riesce a farla smettere. Il Sultano non sa più cosa fare per consolare quel pianto”

Tutto era pronto: gli invitati arrivati, l’orchestra schierata con tanto di contrabbasso, le candele di mille candelabri accese, le pietanze accuratamente servite su piatti d’argento,
le bevande conservate al fresco, le ballerine già pronte sulle punte dei piedi, i servitori impomatati e i servi impegnati a rinfrescare l’aria con le palme.
Mancava solo lei, la festeggiata: la principessa Hadiya.
Solo il suo pianto arrivava, ma di lei nemmeno l’ombra.
Anche la luna sembrava essersi avvicinata curiosa ad osservare e ad Hamid, che se ne stava nascosto dietro il contrabbasso, venne un’idea.
Andò da Bashir e si fece ridare il fagotto e nel silenzio iniziò a suonare la sua canzone.
Poche note e la principessa si affacciò dal suo balcone, guardò incredula il giovane suonatore e di corsa lo raggiunse tra lo stupore generale.
Sorrideva e ascoltava. Non riusciva a credere che il ragazzo del sogno fosse lì a suonare la stessa canzone, a liberarla dalla tempesta che aveva oscurato il suo cuore.
Quando Hamid finì di suonare la principessa gli sorrise e lui, senza possibilità di scampo, se ne innamorò perdutamente.
Nel vedere la sua amata figliola sorridere dopo tanto pianto il Sultano andò da Hamid e gli ordinò “Chiedimi ciò che vuoi e sarà tuo”
“Voglio la mano di vostra figlia, la principessa Hadiya” rispose guardando dritto negli occhi il Sultano.
Fu così che Hamid sposò l’incantevole Hadiya e ...divenne ricco direte voi.







Certo, ma non della ricchezza di cui tutti vanno in cerca; quella del denaro, ma bensì si ritrovò ricco d’Amore e di quella felicità che solo l’amore può dare.





martedì 23 ottobre 2012

L'ANCIA DI CAPPUCCETTO ROSSO



Non tutti sanno che Rossella, detta Cappuccetto Rosso, per via della mantellina che era solita indossare per andare nel bosco, suonava il fagotto.
Studiava con un’anziana signora che lei famigliarmente chiamava nonna.
Era una brava allieva, una di quelle che studiava sempre prima e dopo la merenda e che sembrava aver fame di musica.
Suonava un fagottino rosso costruito con l’acero rosso della Foresta Nera. Usava un metodo che ormai non si trova più:
Quattro note nella foresta, nuovi sentieri per giovani fagottisti
di un certo Tom Hupol.
Cappuccetto Rosso era una bambina allegra, come spesso lo sono tutte le bambine che suonano il fagotto, ed era una gioia per la Nonna averla come allieva.
La nonna abitava in una piccola casa all’ombra di un grosso albero al di là della foresta e per recarsi alla lezione Cappuccetto rosso doveva attraversare una parte di bosco, ed è li che un giorno perse la sua ancia preferita.
La teneva nel cestino insieme ai fiori che era solita portare alla sua maestra e quando arrivò dalla nonna, si accorse di averla smarrita.
Di ritorno dalla lezione cercò attentamente ma senza risultato. Avrebbe potuto cercarla per giorni ma non l’avrebbe mai trovata, e sapete perché?
Perché il lupo, che si aggira per la Foresta Nera, l’aveva trovata e ingoiata.
Non l’avesse mai fatto! Cominciò ad avere uno strano rantolo sonoro, l’ancia gli si era incastrata nella gola e vibrava ad ogni respiro!  Da quel giorno tutti sanno quando il lupo si sta avvicinando e la nonna chiude ben la porta e le finestre appena sente nella foresta il suono di un’ancia.



Ancia di Cappuccetto Rosso


giovedì 11 ottobre 2012

                               Primo sconforto davanti alla dura realtà:
                           anche le ance migliori se ne vanno 


lunedì 8 ottobre 2012

Bassoon Beatbox: The Breaking Winds Bassoon Quartet

petit amour

TRIO SCONCERTANTE per flauto, oboe e fagotto



Al flauto Battista, la scimmietta: Mascotte dei bucanieri, con tanta di quell’acqua negli occhi che par sempre che pianga, scappata dalla spalla di un pirata dopo aver attraversato tre volte l’oceano.
All’oboe Mariangelo, la talpa: Paladino dei minatori, con tanto di quel buio nella memoria che non trova più la strada di casa.
Al fagotto Bruno, l’orso: Cavaliere dei ghiottoni, con tanto di quel grasso in corpo che riesce a  scivolare anche stando fermo.
Si son trovati ad un incrocio e hanno iniziato a suonare insieme:
Battista crede di vedere il mare, ma in realtà è Bruno, che pensa di nuotare nel minestrone e trova insapore la patata che in verità è Mariangelo che a sua volta crede di essere a casa, ma non capisce come mai vi è tutta quell’acqua che sa di minestra.
Ascoltarli è un avventura: ci si ritrova smarriti in mezzo all’oceano, con le lacrime agli occhi, senza più memoria a scivolare nel buio.
E il silenzio, come un porto, attende tutti .

lunedì 1 ottobre 2012

IL SOLDATO CON IL FAGOTTO


Caro figlio, ti scrivo mentre tutti dormono e sognano una vita migliore.
Sperando di trovare un senso al loro essere qui, in una buca di melmosa, al freddo, affamati e angosciati.
Ma un senso non lo troveranno mai, perché un senso non c’è.
Tutti sanno che la guerra è disgustosa, ma da sempre c’è chi la dichiara e chi la combatte.
Sono partito perché costretto e ho visto cose che non fanno bene ad un uomo.
La natura dell’uomo è quella di vivere a contatto con la creazione e goderne la bellezza, ma qui di bellezza non se ne vede, o meglio; il tramonto è sempre li, ogni sera, a stupire colui che lo coglie mentre i fuochi dell’artiglieria colorano di sangue la fine della giornata; ogni mattina il sole offre il suo magnifico spettacolo a chi gli volge lo sguardo, ma qui siamo troppo occupati ad alzare  il fucile e a puntare i cannoni che i giorni ci passano sulla testa senza che ce ne accorgiamo. Che spreco! che vita al contrario!
Ma tuo padre, figlio mio, non ci sta.
Quando sono partito, costretto da una legge iniqua, mi sono portato nel sacco, come ben sai, il mio fagotto, smontato e avvolto nelle magliette. Nessuno se ne è accorto e ben presto ho cominciato a montare il fagotto al posto del fucile e a correre sui campi di battaglia puntando contro il nemico uno strumento musicale. No ho ucciso nessuno e nessuno mi ha mai colpito, Pensa, a volte sono addirittura riuscito a suonare sul campo di battaglia, accompagnato dagli spari e dalle cannonate.
Ora vengo al punto di questa mia lettera. Qualche giorno fa mi sono trovato faccia a faccia con un soldato nemico che, vedendomi brandire  il fagotto, deve averlo scambiato per chissà quale arma micidiale. La paura non deve averlo lasciato ragionare ed è fuggito. Nello scappare è finito dentro ad una buca, dove un sasso lo aspettava dall’inizio dei tempi e lui ci è andato a sbattere la testa ed è morto come può morire un qualsiasi uomo che vive nei campi. In confronto ad una pallottola nel cuore, una morte naturale direi.
Ma il caso ha voluto che quell’uomo fosse un pezzo importante nella scacchiera della guerra ed io mi sono guadagnato una medaglia al valor militare. Io, che vado in guerra con un fagotto! La bella notizia è che grazie alla mia eroica impresa tornerò a casa presto! Caro figliolo non vedo l’ora di riabbracciarti. Torneremo a suonare insieme alla sera, mentre il sole tramonta e gli uccelli cantano, mentre la mamma prepara la minestra e sorride vedendo che tutto scorre secondo natura.

Ti abbraccio forte