venerdì 31 agosto 2012


Il tuo elefante non ti obbedisce più?








Chiama ELEPHABASSOON MAN
… una soluzione ai tuoi pensieri pesanti.

100 anni di esperienza al vostro servizio!!



giovedì 30 agosto 2012

La sagra


Quando Evaristo vide il piano di lavoro per la nuova stagione, l’occhio gli cadde subito su un programma di Stravinsky : “Le Sacre du Printemps”.
Il cuore cominciò a battergli forte perché lui era il primo fagotto.
Per chi non lo sapesse “La Sagra della Primavera” inizia con un arduo a-solo del primo fagotto nell’ottava sopracuta.
I fagottisti studiano questo passo sin dal conservatorio perché  viene richiesto in tutti i concorsi per accedere al primo posto nelle orchestre sinfoniche.
Un passo che a casa viene perfetto, ma il difficile è farlo davanti ai colleghi , nel silenzio di una sala da concerto.
La prima cosa che fece appena rientrato a casa fu riprovare il solo in questione.
Perfetto!
Si calmò, “ce la faccio” si disse, ma si addormentò a fatica e fece sogni agitati.
Da quel giorno “La Sagra della Primavera” si era fissata nei suoi pensieri e sbatteva qua  e là nella sua testa ad ogni passo.
Iniziò la costruzione delle ance destinate a quel “solo” molto acuto, aveva sentito delle Sorelle della congregazione del “Sacro Legno dell’ancia” e fece qualche bollettino di donazione per non tralasciare nessuna strada per la buona riuscita del maledetto passo, aveva portato il fagotto a revisionare, aveva acceso un cero alla Madonna e uno a San Gennaro.
Gli altri fagottisti dell’orchestra guardavano il povero Evaristo con un misto di compassione e soddisfazione.
“Com’è bello fare il secondo fagotto! per  fortuna non ho vinto io il posto da primo! ho fatto bene a non arrivare primo” si consolavano.
Nessuna ancia nuova, nessun versamento alle Sorelle della congregazione e nessun cero.
La settimana del concerto era arrivata, Evaristo si sentiva già esausto prima ancora d’iniziare le prove.
Appena salito sul podio il direttore  lo guardò.
Gli altri fagottisti, nella “ Sagra” sono cinque in tutto compreso il controfagotto, lo guardavano come si guarda un condannato a morte. Più ci si allontanava dalla sedia del primo fagotto più l’aria era leggera, come di vacanza.
Il direttore lo scrutò per cercare di capire se aveva le palle e con un semplice gesto gli aprì la porta verso il baratro.
Evaristo, con il cuore che si chiedeva cosa cazzo stava succedendo, partì con l’assolo e per quella volta non cadde.
All’ultima prova Evaristo traballò ma riuscì ad arrivare dall’altre parte del solo.
Finita la prova i colleghi fagottisti si complimentarono con lui e lo incoraggiarono
“Bene. Magari un ritocchino all’ancia ti aiuterebbe” disse uno e se ne andò sorridendo
“E’ sempre difficile quel solo” disse un altro
“Ci vuole sangue freddo per il nostro lavoro” un pacca sulla spalla e “cosa fai domani pomeriggio?”
“Credo studierò un po’, mi riposerò, cercherò di star tranquillo” rispose Evaristo
“Peccato noi ci troviamo per una grigliata. Sarà per un'altra volta”
L’unico che tacque fu il contro-fagottista, era un ragazzo giovane ingaggiato per l’occasione, salutò tutti con un cordiale sorriso e se ne andò.


La sera del concerto Evaristo non era riuscito a mangiare nulla e arrivò in teatro molto presto.
I suoi colleghi invece arrivarono all’ultimo momento, tutti allegri con ancora le costine della grigliata da digerire e tra una battuta e l’altra dissero ad Evaristo “Sai che c’è la diretta televisiva?”
“La diretta televisiva?”
“Si in euro visione, entrerai nelle case di un sacco di gente col tuo solo!”
Per Evaristo fu come se gli mettessero sulle spalle un macigno.
Cominciò ad impallidire e la gola iniziò a seccargli.
Salirono sul palco, la sala era piena e una telecamera puntata su di lui.
Il direttore salì sul podio fra gli applausi e quando questi cessarono un silenzio d’abisso s’impossessò della sala.
Il cuore di Evaristo batteva forte, ed ebbe paura  che si sentisse in tutto il teatro.
Il direttore lo guardò e con un semplice gesto gli aprì la porta verso il baratro.
Evaristo si affacciò e …
“No, non ce la faccio” sussurrò e scosse la testa al direttore
“Come no?” rispose questi con gli occhi
 “No” ribadì scuotendo la testa Evaristo
“No “ riaffermò definitivamente.
Il direttore fissò lo sguardo nel vuoto qualche secondo , guardò il secondo fagotto e con un gesto del mento lo invitò a buttarsi.
“Io!” rispose questo con occhi increduli indicandosi con un dito, mentre le costine gli s’impiantavano nello stomaco, e indicando l’ancia fece capire che non era quella giusta per il solo.
Il direttore allora posò il suo sguardo sul terzo fagotto e con occhi imploranti alzò le sopracciglia e accennando di si col capo lo invitò ad accettare la sfida.
Con la mano appoggiata al ginocchio il terzo fagotto  fece no con il dito, sottolineandolo con un leggero movimento della testa ”Non se ne parla nemmeno”.
Il tempo passava ed il silenzio in sala cominciava ad essere insopportabile.

Il direttore allora guardò il quarto fagotto che addirittura sorrise, come dire “Ma scherziamo! a parte che il mio contratto non lo prevede e nemmeno la mia ancia, ma comunque sia non mi butterò mai a fare una figura di merda”.
Il silenzio si stava solidificando e il direttore posò uno sguardo rassegnato sul ragazzo del controfagotto.
Si da il caso che il controfagotto aveva i controcoglioni e senza pensarci due volte iniziò l’assolo de “La Sagra della Primavera” tre ottave sotto l’originale … ma almeno ruppe il silenzio.
“Che Sagra è questa qua?” commentò un’ ascoltatore “quella del maiale?”
No, era “Le Sacre du Printemps” di Stravinsky,  che ancora una volta era iniziata, che ancora una volta aveva creato miti e leggende.

P.S. ogni riferimento a persone o luoghi è puramente casuale





mercoledì 29 agosto 2012

Diavolo d'un fagottista




“E’ così nobile il pianoforte” sorrideva Clotilde, la figlia del commendator Lamberti,
“Anche il violino è raffinato” faceva notare Fiorenza, la figlia dell’avvocato Gandolfo …
e giù moine. Il tè delle cinque fumava e senza pudore le gentili signore recitavano la loro parte, mentre la cara Lucrezia le allietava al pianoforte a coda con una sonatina di Clementi.
Tutto sembrava cosi a posto! era bello stare in quel quadretto! nell’amenità di quel pomeriggio con i merletti alle finestre.
Un biscottino al burro e un’asciugatina alle delicate labbra con il tovagliolo di pizzo, un sorriso da fotografia e avanti con Clementi.
Un altro piccolo sorso di tè, la dose di un passerotto, un sospiro di compiacimento, una risatina a fior di labbra e giù Clementi.
“Certo che questo Clemente”
“Clementi” corresse prontamente Clotilde
“Si certo Clementi, volevo dire che questo Clementi non è molto clemente” concluse Fiorenza
“E perché mai?” tirò un sorriso Clotilde
“Poteva farle un po’ meno lunghe queste sonatine, non sono brutte intendiamoci, ma a un certo momento … come dire …”
“Lo so, ma Lucrezia ci tiene a fare tutti i ritornelli. Un’altra tazza di tè?” la interruppe Clotilde
Il tè scendeva e Clementi scorreva.
Si voltarono ad osservare la gentile signorina Lucrezia impegnata a portare avanti la sonatina …
Poi all’improvviso la sonatina arrivò alla fine.
Così all’improvviso che le due amiche quasi non se ne accorsero, impegnate com’erano ad ascoltare i loro pensieri.
Batterono educatamente le mani annuendo con il capo.
In verità non avevano capito nulla, ma sicuramente deve essere bello perché si tratta di Clementi che fanno studiare al conservatorio.
“Bello questo Clementi!” disse Clotilde
“Mamma non è Clementi è uno studio sulle scale” spiegò Lucrezia
“Sulle scale?” intervenne Fiorenza che non capiva cosa centrassero le scale li in salotto
“Ma pensa” sorrise con aria da intenditrice la mamma “ sembrava Clementi”
“La prossima volta che viene a trovarci la signora Fiorenza eseguirai una sonatina di Clementi vero cara?”
“Mamma ma ancora non le ho imparate le sonatine di Clementi è solo due mesi che vado al conservatorio” spiegò Lucrezia
“Ma è la prima cosa che fanno imparare al pianoforte” disse incredula la mamma, che non voleva passare per inesperta agli occhi dell’amica “ non è più il conservatorio di una volta” e scuotendo la testa dichiarò conclusa la discussione.
Il tè s’era freddato e Fiorenza si congedò “La prossima volta la aspetto a casa mia e Angelica ci  allieterà con il suo violino. Ci farà sentire Viva il do”
“Viva il do?” chiese curiosa Clotilde “ cos’è una canzone?”
“Ma no è un compositore che stava a Venezia” spiegò Fiorenza
“Ah! Vivaldi! quello che ha fatto le quattro stagioni” capì finalmente l’amica
“Ah,ah!!” sorrise Fiorenza”non vorrai farmi credere che le stagioni le ha fatte Vivaldi!”
“Certo ne sono sicura” rispose Clotilde
“No cara le stagioni le ha fatte il buon Gesù” decretò Fiorenza scuotendo la testa con pacata rassegnazione e salutando se ne andò uscendo dal quadretto.



“Ci vediamo questa sera?” chiese Clotilde a Fiorenza uscendo dalla Santa Messa domenicale
“Questa sera?” chiese l’amica non ricordando cosa avrebbe dovuto capitare quella sera.
“Alla stagione musicale! anche tu hai l’abbonamento vero?”
“Ma certo! chi suona che non ricordo?” chiese Fiorenza
“Ma effettivamente non è un gran concerto, vi è uno che suona il trombone” disse ridacchiando Clotilde
“Il trombone! ma dai!”  si unì alla risatina l’amica
“Si il trombone o il fagotto. Insomma uno della banda. D’altronde anche loro hanno diritto a un po’ di spazio poverini.” concluse Clotilde
“Si ma a me non piace molto la banda, sai non è raffinata come il violino” disse Fiorenza
“E tua figlia ieri com’è stata brava col suo violino! è molto che studia vero?”
“Altro che, il mese prossimo sono già 17 mesi!”
“E si sente che ha su la mano”
e ognun per la sua via se tornarono dentro al loro quadretto.

La sera si ritrovarono al concerto della stagione musicale della città.
Sfoggiavano il loro vestito migliore e con aria competente iniziarono a leggere il programma di sala.
“ Sergio Azzolini, fagotto” iniziò Clotilde
“Concerto per fagotto di Graupner” continuò Fiorenza “non sapevo che quello dei televisori scriveva musica” disse ammettendo la propria ignoranza
“Concerto per fagotto di Hertel” lesse Clotilde “questo è quello delle pile”disse sicura
“Concerto per fagotto di Galuppi” proseguì “Ma dai anche quello dei panettoni compone! ormai sono tutti compositori” disse scuotendo la testa Fiorenza
“Si, ma per banda. Musica popolare, Va bè ormai siam qui!”
Le luci si spensero ed entrò il solista
“Che roba lè ‘na scùa” disse sottovoce Clotilde vedendo per la prima volta un fagotto
“A mi ma par ‘na gamba del taul” replicò Fiorenza e il concerto ebbe inizio.
Rimasero subito affascinate dal suono e dalla bravura di quel fagottista che sembrava ballare mentre suonava, un’ inarrestabile energia le teneva inchiodate alla musica non permettendo a nessun altro pensiero di entrare ad interferire con l’evento sonoro.
Erano per la prima volta rapite dalla musica e vissero per quel periodo una vita che non sembrava la loro.
Quando atterrarono sull’ultimo accordo si guardarono intorno un po’ 
spaesate.
Erano imbarazzate da quella inaspettata esperienza: se qualcuno se ne fosse accorto che figura avrebbero fatto! rimanere rapiti dal fagotto che suona un pezzo di quello del panettone! fosse stato Bach, Beethoven, Mozart suonato col piano a coda o col violino della Stradivari il loro orgasmo sarebbe stato giustificato, ma così non sembrava morale, loro erano dell’alta società, colte, sapevano quando la musica vale la pena di essere apprezzata.
Aspettarono ad applaudire, non volevano essere le uniche stupide che non capivano nulla, ma quando l’applauso partì si unirono composte: non troppo entusiasmo per non fare figure e nemmeno troppo poco da sembrare maleducate.
Non ebbero il coraggio di parlare ne di guardarsi tra un brano e l’altro.
Quando il concerto di Graupner ebbe inizio si ritrovarono di nuovo trascinate senza scampo dalla musica. Avevano le orecchie rosse dall’emozione il cuore batteva forte e per la prima volta in vita loro sentirono la voglia di alzarsi e ballare, gridare a squarciagola felici … e che cazzo!!
All’intervallo si alzarono barcollando, con la testa che girava leggermente come dopo due bicchieri di vino.
Andarono nel foyer.
Si aggiravano spaesate, cercando di ascoltare i commenti del pubblico.
Avranno avuto anche loro quella travolgente esperienza? si chiedevano.
Tutti rimanevano  cautamente sul “bravo”, “si non male”, anche se nessuno era rimasto immune dall’incantesimo di quel “pifferaio”.
E’ mai possibile, pensavano, che possa piacermi di più un fagotto che suona musiche di chi sa chi piuttosto che un pianoforte che suona Beethoven?
E’ strano, se no perché tutti suonano il pianoforte o il violino e nessuno il fagotto?
e perché qui a teatro suonano sempre pianisti e sempre Beethoven, Schumann, Schubert?
Un prosecco al bar per mandar giù la risposta e di nuovo in sala per veder se era stato solo un sogno.
“Cazzo” sussurrò per la prima volta in vita sua Fiorenza quando il concerto finì
e in quell’espressione vi era tutta la vita che si era giocata all’interno di quel quadretto di merda del tè delle cinque.
“Domani non vengo a prendere il tè” disse all’amica
“Perché” chiese questa
“Mi sono rotta il cazzo di sentire tua figlia che arranca sulle scale” rispose senza mezzi termini
“Ma Fiorenza! non ti facevo così volgare! comunque anch’io non verrò da te a prendere il tè perché anch’io mi sono rotta il cazzo di sentire tua figlia che fa piangere il suo violino”
e prendendosi sotto braccio andarono a chiedere un autografo a quel diavolo d’un fagottista che era riuscito a distruggere il loro quadretto.

P.S. senza nulla togliere ai grandi compositori citati, ai pianisti e ai violinisti.



Il Maestro Sergio Azzolini


STUDIO per fagottista


Tgao, un discepolo zen suonatore di fagotto, un giorno, insoddisfatto del suo modo di fare musica,  si recò dal monaco Incae e dopo aver appoggiato il suo strumento fuori dalla stanza come una spada, entrò e domandò:
“Maestro come posso progredire nella mia arte?”
“Applicati di più” rispose Incae
“Ma com’è possibile? mi è dato di suonare solo mezz’ora al giorno e non tutti i giorni, l’unico tempo che mi rimane a disposizione è durante le ore del sonno e il mio esercizio non permetterebbe agli altri monaci di dormire”
Il maestro chiuse gli occhi e prima di tornare in meditazione disse:
“Esercitati in silenzio”

Triglia alla griglia


Aveva percorso tutta la costa mangiando svogliatamente piccoli crostacei e molluschi, stanati grazie ai suoi lunghi e mobilissimi barbigli che gli pendono da sotto la gola.
Aveva rivisto le solite rocce, salutato i soliti amici che in compagnia se ne andavano a spasso per il mare parlando del più e del meno e fermandosi ogni tanto al” Bar del Porto” a fare uno spuntino, ma senza bere neanche un  bicchierino.
Aveva guardato il Riccio di mare con la sua “Lanterna di Aristotele”, recuperata chissà dove e da così tanto tempo, che ormai non si ricorda più nemmeno lui che una volta non l’aveva.
Aveva visto la Spugna di mare pullulare di animaletti con la mania della pulizia e l’Attinia giocare a fare il fiore in un mondo senza sole.
Ma tutto ciò non lo interessava minimamente, non gli importava nulla se qualche pesce era bello, qualcuno originale e qualcun’altro da rimanerci a bocca aperta.
Nuotava dritto per la sua strada e non si fermava più nemmeno ad ascoltare le barzellette del Pesce Pagliaccio e lasciava il Pescecane ricorrere il Pesce gatto senza il minimo interesse.
Rideva in faccia alla Murena che gli pareva uno stronzo mal cagato, e rimaneva persino indifferente a quei secchioni di Delfini col grembiule delle elementari e i loro inutili sforzi per parlare. Di cosa poi?
Arrivò alla sua tana. Si appoggiò al suolo e pensò.
Non è buona cosa per un pesce pensare. Un pesce deve nuotare, mangiare per aver la forza di nuotare e lasciare che l’acqua anneghi tutte le domande e smorzi il suono di tutte le risposte.
Ma lui iniziò a pensare e pian piano cominciò ad avere desideri colorati , a sentire il bisogno di fare qualcosa di particolare, di grande, che gli desse la sensazione, meglio ancora la convinzione, di non essere un pirla come tutti gli altri, uno dei milioni e milioni di stupidi pesci che avanzano movendo la coda come cagnolini e se ne stanno a bocca aperta come imbecilli.
Avrebbe voluto espandersi in uno sfogo di fantasia, di rabbia, avvolgere per una volta quel mare che lo avvolgeva.
Uscì così dal suo nascondiglio e cominciò a nuotare velocemente. Il più velocemente possibile, lottando con quel muro trasparente che frenava la sua corsa e gli bagnava fradicia la sua nuova camicia Hawaiana.
Iniziò a fare ampie giravolte, sempre più veloci, schivando rocce a sbattendo contro le alghe, stando ben attendo a non fare il contrario, perché nel vortice delle acrobazie a volte uno può anche confondersi.
Nell’osservare quella triglia con il motore al posto delle pinne, tutti i pesci rimasero a bocca aperta
“Si, ma anche prima avevano la bocca aperta” pensava ormai con scioltezza la triglia “ devo stupire con qualcosa di nuovo”
Poco lontano da lì c’era, evitata da tutti, una vasta rete per la pesca.
“Ecco” pensò la triglia “ affronterò la rete, sfiderò la morte”
E così senza ne uno ne due si buttò tra le maglie della rete ed inevitabilmente vi rimase intrappolato.
Ora era pronta a morire, aveva visto il limite della pazzia e allungato le branchie per baciar la morte e questa non l’aveva perdonato.
Nel cuore però aveva ancora quel incontrollato desiderio di stupire. Stupire se stesso e aprire la bocca in un morso universale.
Rimase ad aspettare che la morte lo raccogliesse, si degnasse di venire a prenderlo e di spegnere quel cuore impazzito.
Quel momento arrivò e la rete fu alzata verso il cielo.
“Il paradiso!” esclamò meravigliata la triglia appena affiorò dall’acqua.
Tutto quel mare ai suoi piedi e quel panorama pieno di luce, una luce che sorrideva in un mare senz’acqua!
Per qualche istante la triglia ebbe la convinzione di essere riuscita a contenere il mare, di essere veramente un pesce speciale.
A un soffio dalla morte visse un alito di vittoria.
Ma pian piano iniziò a mancargli l’acqua , l’aria lo annegava e cominciò a perde i sensi.
Fu presa velocemente e messa su uno scoglio.
Com’era bello vederla morire!
Il suo corpo via via assumeva colori diversi, dal rosso vivo al rosso pallido, dal viola al rosa.
Il pescatore finito la spettacolo la prese fra le mani e camminando verso i compagni gridò
“Toni, è pronta la griglia? “

martedì 28 agosto 2012

La morte della pulce


Tarzanino Tarzanello


Il merlo e il vento


Tra i rami agitati del frassino un merlo cercava riposo dopo una notte ventosa,
ma ancora l’albero tremava al pensiero di tanto vento.
Così lo stanco uccello volò via, verso rami più coraggiosi.

Una betulla gli porse le mani e il merlo vi si accomodò.
Ma la betulla cominciò ad accarezzarsi i capelli riflettendosi nello stagno e con un sorriso lasciò che il suo ospite sparisse dal quadro.

Fu la quercia a fischiare chiamando a sé lo stanco uccello e nel buio della sua lunga vita, confuse il merlo tra l’oscurità dei suoi rami.
Lo svegliò un fischio nel cuore della quercia. Era il vento che, prigioniero per qualche istante, gridava la sua rabbia.

Facendosi strada nel buio corposo di mille rami, il merlo raggiunse la luce e, dopo un attimo di smarrimento, volò lontano verso la collina.
Cercando con tutta la sua forza di opporsi al vento, atterrò in un dorato mare di grano;
non abbastanza profondo, però, per impedire al vento di immergervi le mani.
In quell’agitato mare dal fondo troppo vicino al cielo, vide un’aquila lontana.
Essa non si nascondeva negli alberi, nei campi di grano, ma volava libera nel forte vento senza un battito d’ali.
“Si nasconde nel vento”, gli spiegò il grillo.
Il merlo rimase in silenzio per qualche istante ...  poi si alzò nel cielo appoggiandosi al vento,  trovando finalmente riposo. 





martedì 21 agosto 2012

SERENATA per fagottista solo



                                                                                

Mi chiamo Mariotto e suono il fagotto
mi aggiro furtivo con passo felpato
sul cappello la piuma di pavone spennato

Il riso nascondo dietro una maschera da vagabondo
sotto braccio il fagotto, un dardo puntato
mi sento un cavaliere innamorato

Per Letizia sopra un ponte di Venezia
ho intonato una canzone
con il labbro che vibrava d’emozione

Il cuore era pronto ma l’ancia non andava
la serenata pareva suonar per una racchia
con quel suono da pernacchia

Mi chiamo Mariotto e suono il fagotto
mi allontano furtivo con passo felpato
l’amore infranto da un’ancia spezzato

sabato 18 agosto 2012

Il medico e la vecchia


IL MEDICO

Lucio Guercio, dottore dell’ordine degli oculisti, era uno di quei professoroni con una laurea così grande da non avere una parete nello studio sufficientemente larga dove appenderla.
Abitava in una villa in cima ad una collina così che tutti potessero vederla. Perché è importante per un oculista farsi vedere ; “ Se vedi l’oculista, l’oculista ti farà vedere” era uno dei motti di Lucio Guercio.

LA VECCHIA

Anna Gina detta la Vedova, perché lo era per davvero da più di vent’anni, era una donnina esile e sempre vestita di nero.
Accompagnava la sua giornata con poche parole, in una piccola casetta a due stanze.
Possedeva poche cose e a furia di scrutar nel passato aveva quasi perso la vista.

IL FATTO

Una mattina Anna Gina non riuscì ad aprire gli occhi o meglio, si accorse di aprirli ma di rimanere al buio come di notte. Decise allora di chiamare Lucio Guercio e lo fece con la stessa speranza con cui un fiore aspetta il sole del mattino.
Il dottorone quasi non passava dalla porta tanto era grande, aprì la borsa di cuoio e iniziò a visitare la paziente. Alla fine prescrisse una cura su un foglio giallo con una scrittura che sembrava un codice segreto della mappa di un tesoro e mentre usciva, approfittando della cecità della sua paziente, rubò una foto del marito defunto conservata in una cornice d’argento.
Le visite si ripeterono per parecchie settimane e ogni volta il bravo dottore si portava via un pezzo di casa della povera Anna Gina.

FINALE

Quando arrivò il momento in cui la vedova dovette pagare la parcella al luminare, questa si rifiutò.
 “Ma come!! Come si permette di non pagare Lucio Guercio, primario dei primari!” si arrabbiò il dottore e la portò in tribunale.
Quando fu davanti al giudice Anna Gina dichiarò che aveva sì promesso un compenso se la sua vista fosse guarita, ma che ora, dopo la cura del medico, essa stava peggio di prima. “Prima, infatti” diceva “vedevo tutti gli oggetti di casa, ora non riesco più a vederne nessuno”.

venerdì 17 agosto 2012

Si Parte!

Sorelle della Congregazione "Il Sacro Legno dell'Ancia"

 La prima tappa alle care sorelle della congregazione "Il Sacro Legno dell'Ancia". 

 Un quintetto di pie donne che pregano per la buona riuscita delle ance, perché abbiano una lunga vita e per i patimenti dei disperati fagottisti.

Storie in un fiato "Filastrocca strampalata"


giovedì 16 agosto 2012

Botto di fagotto



Per Artamihr, il drago a due teste, il problema era sempre quello: con quale testa ragionare.
Gli capitava di passare ore prima di riuscire a spiccare il volo, perché le sue teste non riuscivano a mettersi d’accordo su dove andare. Era uno zuccone e nessuna delle sue teste voleva cedere, così era più il tempo che pensava a cosa fare che quello che passava a fare cose.



Abitava in due nidi diversi per accontentare tutte e due le teste, uno era nella scogliera e l’altro tra le cime innevate. Insomma il povero Artamihr non era quello che si dice un drago sereno.
Un giorno se ne stava immobile con una testa ad osservare il tramonto e l’altra a guardare dall’altra parte, dove la luna già faceva innamorare, quando un suono lo catturò.
Era un suono nuovo, che mai aveva udito, era dolce come una carezza e penetrante come un pugno, era forte ma docile. Le sue teste si girarono all’unisono verso quel suono che con la sua duplicità le incantava entrambe. Una testa ne coglieva la gaiezza, l’altra la tristezza e Artamihr si ritrovò per la prima volta con le sue teste catturate dalla stessa cosa.
Quel suono intanto si ripeteva, modulando impercettibilmente e ipnotizzandolo lentamente.
Cominciò a muoversi piano, con calma si alzò dal suo nido e senza accorgersi spiccò il volo guidato da quell’irresistibile suono e seguendone le vibrazioni atterrò sulla spiaggia, dove ad attenderlo v’era Lancillotto che suonava il suo fagotto.
La melodia continuava ad incantare Artamihr. Immobile lasciava che quella musica lo avvolgesse e si ritrovò presto dentro ad una sfera vibrante.
Fu allora che Lancillotto riuscì ad armonizzare le due teste del drago, che al risveglio da quell’incantesimo si ritrovarono d’accordo nel riconoscerlo come unico padrone.
Passarono comunque mesi prima che Lancillotto, a furia di suonare melodie con il suo fagotto, riuscisse a convincere il drago a portarlo a spasso fra le nuvole.
Divennero infine inseparabili amici.
Un giorno Artamihr chiese di poter provare a suonare il fagotto che tanto lo faceva impazzire.
“Il problema è il fiato” spiegò Lancillotto al suo nuovo allievo “devi imparare a soffiare senza sputare fuoco”
“Bel problema” rispose il drago
“Ma vediamo cosa si può fare” disse speranzoso Lancillotto.

Tre giorni dopo consegnò ad Artamihr il metodo sul quale avrebbe cercato di insegnargli a suonare il fagotto dal titolo: FIATO PESANTE, rutti e gargarismi per draghi aspiranti fagottisti. Metodo che il drago lesse e bruciò in un fiato.

Era l’ultimo giorno dell’anno quando Artamihr volò sulla superficie del mare e spalancata la bocca bevve litri e litri d’acqua, al punto da non riuscire quasi più a mantenersi in volo.
“Ho le caldaie piene d’acqua, presto!” gridò a Lancillotto appena lo ebbe raggiunto.
Lancillotto allora gli porse il fagotto ed Artamihr emise il suo primo suono.
Fu una specie di rutto da temporale, lungo e profondo che sollevò le onde e abbatté uno stormo di cormorani. Il silenzio che seguì puzzava di bruciato, le ance del fagotto avevano iniziato a carbonizzarsi.


Lancillotto sorrise e da allora, ogni 31 dicembre a mezzanotte, se state in silenzio, potete sentire un temporale lontano della durata di un rutto; è Artamihr, il drago a due teste, che suona il suo fagotto come un botto, bruciando le ance.