Nel folto bosco, attraversato frettolosamente da
ghiandaie, merli e tanti altri canti e assaporato lentamente da lumache,
lombrichi e tanti altri silenzi, la volpe uscì dalla tana dopo un sonnellino
ristoratore.
Messo fuori il muso per annusare se c’erano novità e accertato
che tutto era come sempre, si avventurò spavaldo tra gli arbusti.
Le formiche, sempre al lavoro, correvano lungo la linea
dei loro percorsi.
Gli insetti volavano disordinatamente nel fruscio delle
loro nuvole trasparenti.
La volpe, fatti pochi passi, si sedette al suo posto fra
le more.
Vi rimase il tempo necessario … quanto basta, poi
s’incamminò ai margini del bosco dove il cielo era libero dai rami e aspettò le
prime stelle e che l’ultima luce si sciogliesse nella notte.
Lentamente, con passo da moviola, si avvicinò al pollaio.
Le galline dormivano con lo schermo in bianco e nero dei
loro sogni sintonizzato sull’unico canale disponibile.
Il galletto fagottista puliva il suo fagotto e controllava le ance con
scrupolosità da orologiaio.
La volpe irruppe nel pollaio come una coltellata nella
tela di un quadro prezioso.
Lo squarcio fece
scoppiare il sonno alle galline, come una bolla di sapone e nude, fuori dal sogno
tremarono impazzite.
Iniziarono a gridare, a correre sbattendo le ali in un
volo impossibile, riempiendo l’aria di penne e paura.
Il galletto intanto era riuscito a montare il suo fagotto
e con il poco fiato che il panico gli lasciava iniziò a suonare.
Suonò delle variazione sul tema della sveglia del
mattino.
La volpe, sentendo la musica si fermò impaurita e scappò
volando con le piume di gallina imprigionate nel pelo, unico trofeo di
quell’inutile scorribanda.
Atterrato ai margini del bosco, il canto del galletto
fagottista risuonava ancora nel suo cuore spaventato insieme alle urla delle
galline.
Entrò nello spesso buio del bosco dove, guidato dalle
lucciole, arrivò alla sua tana.
E infilatosi nel letto, sotto una coperta di penne di
galline strapazzate, si addormentò con la pancia vuota.