Viaggi fantastici, itinerari fantasiosi per bambini di ogni età, dentro e fuori dal fagotto
giovedì 30 aprile 2020
lunedì 27 aprile 2020
VIOLA
Viola era una bambina
determinata.
Poche
parole, niente capricci e tanta voglia d’indipendenza.
Portava
in giro i suoi sei anni con allegria, tenendoli per mano insieme al
suo orsacchiotto Bruno, perlopiù taciturno e sempre sereno.
Viola
teneva i suoi sogni in giardino, liberi di crescere alla luce del
sole e qualcuno nel cielo, dove, agganciati all’aquilone,
ispezionavano il confine oltre la sua immaginazione.
Seduta
accanto a Bruno, fuori dalla porta di casa, assisteva al passaggio
del pomeriggio chiuso nelle borsette delle donne che chiacchieravano
tra loro, nelle borse degli uomini che allungavano il passo verso
l’ufficio, negli zaini dei ragazzi che correvano sulle loro
biciclette e appoggiato al bastone dei vecchi.
Rientrava
a casa portando con sé la voglia di vita che il pomeriggio,
passando, aveva lasciato nell’aria.
Alla
sera, dopo aver messo a letto l’orsacchiotto, andava alla finestra
della sua camera a guardar le stelle che la notte aveva acceso per
ritrovare la via di casa quando arrivava l’ora di rientrare.
Sotto
le coperte chiudeva gli occhi come un sipario alla fine del primo
atto, quello della veglia, e nel buio s’incamminava verso il
secondo atto, quello dei sogni.
Quando
riapriva il sipario dei suoi occhi di ritorno dai sogni, sul cuscino
rimaneva sempre un po’ di nostalgia per quel mondo incredibile dove
le emozioni valgono più dei fatti e delle parole.
Viola
aveva un sogno, andare a trovare sua nonna Maria che ormai da quasi
un anno si era trasferita in Paradiso. C’era qualcosa che non la
convinceva di quella faccenda.
Non
una telefonata, una lettera, nemmeno per il giorno del suo
compleanno. Quando chiedeva alla mamma come stava la nonna lei
rispondeva “Da Dio”.
“Ma
perché non si fa più vedere né sentire?”.
“E’
troppo impegnata a sistemare le sue gioie negli armadi della
felicità” le rispondeva sorridendo.
Poi
una notte la sognò. Era circondata di scatoloni davanti a decine di
armadi che spalancavano le ante per farsi riempire di gioia. Lo
sguardo cadde sul vestito della nonna colorato da mille fiori; era un
semplice grembiule, ma ciò che stupì Viola era che fosse
stropicciato. La nonna non portava mai vestiti stropicciati.
“Povera
nonna” pensò “ non ha nemmeno il tempo di stirare” e così ,
finito il secondo atto e riaperto il sipario al nuovo giorno, prese
la decisione di andare a cercarla.
Tirò
fuori dal garage dietro la porta la sua macchina a pedali e caricato
il ferro da stiro partì.
Fuori
dal cancello svoltò a sinistra e felice, col sole in fronte, diede
una strombazzata col suo clacson a trombetta.
Pedalò
lungo la strada che costeggia i prati che ben conosceva, si fermò a
bere e a far rifornimento alla fontana del Plin e si rimise in
carreggiata.
“Da
dove arrivi?” le chiese la mamma al ritorno, dopo che ebbe
parcheggiato.
“Sono
stata a trovare la nonna” rispose Viola scendendo tutta sudata
dalla macchina e senza aggiungere altro se ne andò in camera sua ad
aspettare le stelle.
“E
come sta?” sussurrò la mamma quando rimase sola.
Le
stelle arrivarono alla chetichella, le più secchione prima ancora
che il giorno finisse di sbarazzare tutte le meraviglie che aveva
esposto sotto il sole, le più occupate in ritardo, le più timide si
sistemarono in fondo al cielo e le più birichine si nascosero
dietro alla lavagna per non rispondere all’appello.
Dopo
aver cercato di decifrare i messaggi delle stelle s’infilò sotto
le coperte e stanca per la faticosa giornata s’addormentò prima
del suo orsacchiotto.
Preso
il biglietto partì con il primo sogno diretto dalla nonna.
Era
ancora alle prese con la gioia da riporre negli armadi, ma appena lei
arrivò la nonna si voltò e le sorrise strizzando l’occhio nel suo
grembiule stirato a dovere.
A
colazione la mamma le disse che aveva sognato la nonna vestita di
fiori, con petali che parevan stirati da un angelo.
In
giardino Viola alzò il suo aquilone nel vento e
vide la realtà prendere forma nel regno dell’immaginazione.
venerdì 24 aprile 2020
BRUNO
C’era una volta nel parco di
Greenwich uno scoiattolo di nome Bruno, con la coda pettinata a
dovere e il pelo lisciato dalla vanità. Si arrampicava più in alto
di tutti per sbandierare orgoglioso la sua audacia. Raccoglieva le
noci più grandi per sfamare la sua superbia e le ammassava nel
tronco cavo della sua avarizia. Lungo i viali, Bruno nascondeva la
sua paura fra le spine dei roseti e si profumava di egocentrismo
mentre si lasciava ammirare dai passanti.
Bruno
non è cattivo, anzi è simpatico e rincorre i fantasmi sugli alberi
come tutti gli scoiattoli del parco.
Un
giorno, al laghetto delle anatre, salì su un ramo che sporgeva
dall’acqua e per la prima volta vide il suo riflesso.
“Ma
allora sono così” si osservò stupito.
“Sono
come tutti gli altri scoiattoli!”.
Uscito
dallo specchio una nuova luce illuminava il parco.
Riprese
la via verso gli alberi saltellando felice, sentendosi finalmente
fuori gara.
Non
doveva più dimostrare niente di più di ciò che era e sereno si
accarezzò con la coda dicendosi “ti voglio bene, Bruno!” e da
quel giorno iniziò ad imparare a voler bene a tutti.
mercoledì 22 aprile 2020
lunedì 20 aprile 2020
L' AQUILA
C’era
una volta, non lontano da qui, una grande aquila dall’aspetto
regale e il tono minaccioso. Percorreva, camminando, chilometri e
chilometri di sentieri fra le montagne ai confini con le nuvole,
alla ricerca della felicità.
Passava
le giornate scrutando attentamente tutto ciò che la circondava e ad
ogni movimento sospetto puntava il suo becco verso l’obbiettivo,
pronta a scoccare la freccia del desiderio.
Ogni
tanto scovava la felicità nascosta dentro ai cespugli di rose e per
riuscire a prenderne solo un leggero petalo, doveva pagare col dolore
di cento spine.
La
inseguiva da sempre, a volte lentamente per cercare di sorprenderla
mentre dormiva addormentata sui prati fioriti, a volte correndo,
quando gli sembrava di sentirla volare via con il vento. Ci fu un
periodo in cui fu convinta di averla trovata.
La
portava in giro tenendola per mano, chiamandola “amore mio”.
La
nutriva di mille baci e mille carezze, finché ingrassò così tanto
da non riuscire più riconoscerla e la lasciò scoppiare in una bolla
di sofferenza.
A
mani vuote la nostra aquila riprese il suo cammino a testa bassa,
ormai convinta che la felicità fosse una fantasia dei bambini.
Cominciò a bere litri e litri di dolore e stordita cantava a
squarciagola la nostalgia di una felicità andata in fumo.
Bruciato
tutto il dispiacere ripartì alla ricerca, camminando fra i sentieri
delle montagne ai confini del cielo.
Più
volte si era illusa di averla trovata e si addormentava beata con il
biglietto per entrare in sogni da “Oscar”, seduta in prima fila.
Ma quando si riaccendevano le luci nella sala della mente, la
felicità era sparita dentro allo schermo grigio della sua vita,
lasciandola sola. Poi un giorno, di ritorno da una seduta spiritica;
perché hai visto mai che forse la felicità si è rinchiusa dentro
ad una sfera di cristallo, s'imbatté in una vecchia tartaruga.
“Povera”
pensò “Con quel passo la felicità non la raggiungerà mai”.
“Dove
vai così di fretta?” le chiese la tartaruga.
“Incontro
alla felicità” rispose l’aquila.
“ E
dove ti aspetta? Sei forse in ritardo?”.
L’aquila
si bloccò, presa in trappola da quelle domande. Tutti i suoi
pensieri caddero a terra uno dopo l’altro in un sordo frastuono,
sbilanciati da quel quesito.
“Non
saprei” rispose infine.
La
tartaruga la guardò con i suoi occhi profondi come il cielo e piena
di compassione le disse “ Puoi camminare per tutta la vita, ma non
troverai mai la felicità fin quando non ti accorgerai di avere le
ali. Avvicinati al dirupo al colmo del monte, trova il coraggio di
lasciarti andare e le tue ali si apriranno”.
L’aquila
allora, abbandonati i pensieri a terra, si avvicinò al precipizio.
Il
cuore iniziò a correre cercando di scappare da quella paura, ma una
folata di vento le allungò la mano, lei l’afferrò e si lasciò
cadere.
Due
possenti ali si aprirono in un sorriso e finalmente, senza sforzo,
sospesa nel nulla, sentì la felicità che la trasportava nel vento.
Sorvolò
pianure e montagne, attraversò nuvole a forma di tartaruga e volò
per lungo tempo, sino a sparire nel vuoto di un cielo pieno d’Amore.
sabato 18 aprile 2020
ENRICHETTO
C’era una volta un serpente
verde come l’erba a primavera, lucido come un prato appena lavato e
lungo come una buia galleria. Si aggirava per il bosco, lento e
silenzioso, zigzagava sugli alberi come un sentiero di montagna e,
avvinghiato ai rami come l’edera, aspettava immobile la sua preda.
Il suo cibo preferito erano le tenere, piccole raganelle, che
consumava come snack al baretto dello stagno; in solitudine, tra un
bicchiere di veleno e l’altro.
Le
raganelle, stufe di saltare nella bocca del serpente, decisero di
fare baracca e burattini e cambiare zona. La notte prima della
partenza si ritrovarono sulla tribuna di sassi a salutare la luna,
che come un fiore di loto galleggiava nello stagno.
I
girini, ancora svegli per l’occasione, scorrazzavano eccitati e
illuminati dalla luna parevano sciami di stelle.
“Siamo
tante! Una carovana lenta, carica di paura” gracidò il vecchio
rospo “ Non sarà difficile per il serpente raggiungerci e,
invitato a nozze, iniziare a banchettare”.
A
questo punto salta fuori Enrichetto, una raganella colorata scattante
come una molla.
“Ci
penso io al serpente. Voi andate tranquilli”.
Lo
guardarono increduli “Ma come fa un esserino come te a tenere a
bada il serpente?”.
“Andate
tranquilli, ci pensa Enrichetto” e con un salto si tuffò dentro la
luna.
La
mattina dopo la comitiva delle raganelle s’incamminò con i primi
cinguettii.
Per
quanto si sforzassero di non far rumore, lo strofinio della pesante
paura che trascinavano con loro arrivò alle fini orecchie del
serpente che, spalancati gli occhi come fari, accese il motore e
partì. Stava raggiungendo lo stagno dove le ultime raganelle si
accodavano alla colonna, quando, rimbalzando veloce come un sasso
lanciato a pelo d’acqua, Enrichetto gli saltò addosso.
Colto
di sorpresa il serpente si fermò, sentendo di avere un ospite
sgradito dietro la testa. Si voltò cercando di scacciarlo, ma per
quanti sforzi facesse non riusciva a raggiungerlo con la sua lingua
biforcuta. Il valoroso Enrichetto lo dominava come un guerriero
munito solo di coraggio. Il serpente girava su se stesso senza
riuscire a disarcionare il nemico e gira e rigira perse di vista le
raganelle che sparirono per sempre dalla sua bocca.
“Ma
come hai fatto?” chiesero a Enrichetto quando raggiunse le
compagne.
“Semplice,
anziché scappare dalla paura basta saltarle in groppa, confonderla e
disarmarla” e con un balzo volò via. Larga è la foglia, stretta è
la via, dite la vostra che io ho detto la mia.
giovedì 16 aprile 2020
MORENA LA MARMOTTA
Il suo fischio riecheggiava
nel silenzio profumato della valle, che accoglieva il crepuscolo
stanco al rientro dal giorno. Morena era una marmotta pacifica e
serena come gli anemoni che punteggiavano i prati di sorrisi. Sul
tetto d’erba della sua tana, osservava la sera distendersi sulle
cime dei larici in sbuffi di nuvole e la contemplava meravigliata
mentre si toglieva la collana di raggi di sole per posarla oltre le
cime dei monti. Se ne stava immobile guardandola srotolare la sua
fredda coperta dal letto del fiume e le fischiava dietro mentre,
nuda, si coricava e chiudeva gli occhi al bacio della buonanotte.
La
valle, cancellata dal buio, si trasformava in una distesa di suoni
misteriosi.
I
sutra del gufo, i richiami in codice degli uccelli notturni e gli
ululati dei lupi ai confini di un altro mondo.
Morena
allora allungava il fischio alle stelle che gli facevano l’occhiolino
e la tranquillizzavano accarezzandola con il vento.
“Sei
troppo buona” le ripeteva la talpa ogni volta che si dividevano il
pranzo.
“Prima
o poi arriverà un lupo che ti mangerà in un boccone” e se ne
andava borbottando fra sé: “Povera marmotta, a esser buoni c’è
solo da perdere”.
Ma
Morena, ferma sui sassi delle sue buone intenzioni, lasciava che la
canzonassero.
Passava
le giornate seduta al banco della “Scuola della Vita” e studiava
coscienziosamente ogni lezione. S’interrogava da sola e sdraiata
nella sua tana meditava le risposte. L’aquila le girava intorno
tracciando un cerchio nel cielo, scrutando quell’allieva indifesa.
La volpe la spiava e i lupi aspettavano solo d’incontrarla, ma lei
sembrava non curarsene.
Uscendo
dalla tana portava con sé la letizia del suo buon cuore e la talpa,
passandole accanto, scuoteva la testa cieca allo splendore.
Era
una sera pesante, con le nubi basse e le rocce corrucciate in smorfie
tenebrose.
Le
stelle mancavano all’appello e il freddo occupava ogni pensiero che
usciva dal suo rifugio. Morena, come al solito, era a sentinella del
suo territorio, quando un ululato le fece voltare lo sguardo.
Dall’altro mondo un lupo stava arrivando, con le fauci spalancate,
correndo senza freni lungo la discesa della fame.
Morena
sapeva che prima o poi sarebbe arrivata l’interrogazione al suo
corso per la Vita. Si girò di scatto, liberò l’accettazione e si
caricò di non rassegnazione.
Chiamò
a raccolta la potenza imparata dal fiume, la calma, che vedeva
distesa nelle ali dell’aquila, l’arguzia appresa dalla volpe e un
pizzico d’incoscienza rubata allo sguardo della talpa. Come un
tuono corse incontro al lupo fischiando come il vento in tempesta. Il
lupo, colto di sorpresa, si spaventò e se la diede a gambe lontano
da quella furia. Tornata la calma la luna sbirciò fra le nuvole
scure e fu felice nel vedere la marmotta sorriderle, mentre il cuore
riprendeva il battito calmo della gratitudine.
martedì 14 aprile 2020
GIOVANNINO
Giovannino sbircia il mondo,
al riparo nella sua capanna da re.
Una
reggia di polvere attraversata da fasci di luce, come spade laser,
con un tappeto volante di paglia, che tenta di decollare in un
pulviscolo di stelle sbarluscenti, un cavallo che ondeggia legato a
una sedia, un ripiano con barattoli di sassi colorati dalla fantasia
e un trono di pelle chiara, come le sue idee.
Il
suo fedele amico Merlino, micio magico, dai super poteri e sette vite
tutte ancora da spendere, lo accompagna con il suo sguardo da gatto
intrappolato dai topolini.
“Ma
che sta succedendo?” chiede Giovanni a Merlino “Com’è che non
c’è in giro nessuno?”
Merlino
non risponde, perché lui è un gatto ed ha altri pensieri che gli
vibrano sui baffi.
Il
silenzio intanto continua a girare vagabondo per le strade, come un
gatto con le ciabatte. Dopo aver perlustrato la zona e concluso che
qualcosa dov’essere capitato, se no come si spiega che non si vede
anima viva? Giovannino alza lo sguardo e … meraviglia!
Una
lenta sfilata di draghi sta attraversando il cielo.
Il
fumo esce dalle loro bocche come nuvole, mentre il sole luccica sulla
loro armatura.
Le
piante festose, al loro passaggio sventolano bandiere color foglia e
il canto degli uccelli intona la marcia per le grandi occasioni.
In
testa al corteo il Drago Supremo con ali grandi come tutto il cielo,
seguito dal suo valoroso scudiero con il mantello trasparente e gli
artigli distesi al vento.
Una
processione che nemmeno nei sogni riesce a schierarsi con tanta
regalità.
Nobili
e tranquilli avanzano verso cieli sconosciuti, raccontando senza
parole le loro incredibili avventure.
Merlino,
dal canto suo, si sente spaesato davanti a topi così grandi, che non
basterebbero tutte le vite per mangiarseli.
Giovannino
allora, presa una spada da un fascio di luce nella capanna, sale sul
suo cavallo di legno e dondolando inizia a ricorrere i draghi.
Una
volta raggiunti salterà in groppa al Drago Supremo e lancerà lingue
di fuoco, come saette, contro i cattivi. Merlino, seduto sulla
paglia, lo guarda correre e si mette ad aspettarlo sonnecchiando.
Rimarrà
immobile come una trappola per topi, in attesa di ricevere la carezza
che il suo amico, stanco e vittorioso, gli porterà di ritorno dal
suo viaggio fra le nuvole.
lunedì 13 aprile 2020
domenica 5 aprile 2020
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