lunedì 21 novembre 2016

DENTE DI LEONE


Re Abelardo aveva un trono scolpito nella pietra e il filo dove il cuore si attacca alla vita sempre freddo.
Era circondato da maghi che gli contavano gli anni, spiegavano i segni delle stelle e accendevano i fuochi della sua fantasia. Indossava una pelliccia di ermellino polare con cui cercava di calmare il tremore gelido del suo destino.

Aveva fatto un sogno che da due lune lo teneva con la vita capovolta, non dormiva di notte per paura di sognarlo di nuovo e di giorno continuava a pensarlo; ed era come se lo stesse sognando.
Aveva sognato che il suo unico adorato figlio veniva ucciso da un leone.
Quel pensiero lo teneva inchiodato al trono, mettendo in serio pericolo il suo cuore che andava via via raffreddandosi.
Ma all’alba della terza luna un’idea lo salvò dal ghiaccio dell’inferno:
“Uccidete tutti i leoni del regno!!”
Quando la foresta fu piena del silenzio dei leoni, il re Abelardo levò il suo ruggito di vittoria.

Ma le stelle del cielo d’agosto dei leoni una sera dissero agli astrologi che non era sufficiente; l’erede al trono di pietra, portava ancora nel suo destino il segno del dente di un leone.
Fu così che il re diede l’ordine di costruire un palazzo grande come la fantasia di suo figlio e lo riempì di tutte le meraviglie conosciute e sconosciute prima d’allora.
Con un filo dorato d’orizzonte chiuse la porta, dipinta come il cielo, e tirò il fiato sicuro d’aver cancellato la memoria di quel sogno dalla realtà.

Riccardo iniziò a giocare a dio che governa il mondo.
Seduto, coi suoi nove anni, su una nuvola di cuscini, faceva piovere disgrazie sugli schiavi e regalava braccialetti ingioiellati alle ancelle. Faceva continuamente spostare enormi mobili da una parte all’altra come pedine di una scacchiera e schierava eserciti di soldati nel grande salone per giocare alla guerra.
Quando era stanco chiudeva gli occhi: ed era notte su tutto il suo mondo.
Nonostante i progressi, che in quanto dio faceva di giorno in giorno, non era ancora riuscito a trovare il filo che comanda i sogni e così ogni mattina si alzava col desiderio di  cacciar leoni.
Saliva sulla torre che delimitava il suo cielo da quello degli angeli del Padreterno e, asciugate dal vento, versava le lacrime della sua disperazione.

Una mattina, mentre la testa gli girava dopo aver sceso di corsa la scala a chiocciola della sua torre, i pensieri gli si mischiarono nel modo giusto.
Chiamò il miglior pittore di cui si avesse notizia perché gli ingannasse gli occhi e la realtà, dipingendo il leone dei suoi sogni.

Quando la tela fu terminata venne appesa ad una parete sconosciuta al principe e lo squillo dei corni annunciò l’inizio della caccia al leone.
La caccia fu lunga, ma troppo corta per la bramosia del piccolo principe, che quando finalmente trovò il leone gli si buttò addosso assetato di vendetta per tutta la libertà che gli aveva rubato.
Si buttò contro il muro di quell’inganno, dove ad aspettarlo nascosto dalla tela che ritraeva il leone, c’era un chiodo, il chiodo fisso del suo destino, che gli stappò il cuore versando il vino della sua vita sui tappeti.

Tenendo fra le mani il chiodo arrugginito che aveva trovato nel cuore di suo figlio e guardandolo come un dente nella bocca del destino, il re affranto sussurrò: “ Il destino da quella stessa via per cui lo fuggi a te corre incontro”



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