lunedì 27 aprile 2020

VIOLA


Viola era una bambina determinata.
Poche parole, niente capricci e tanta voglia d’indipendenza.
Portava in giro i suoi sei anni con allegria, tenendoli per mano insieme al suo orsacchiotto Bruno, perlopiù taciturno e sempre sereno.
Viola teneva i suoi sogni in giardino, liberi di crescere alla luce del sole e qualcuno nel cielo, dove, agganciati all’aquilone, ispezionavano il confine oltre la sua immaginazione.
Seduta accanto a Bruno, fuori dalla porta di casa, assisteva al passaggio del pomeriggio chiuso nelle borsette delle donne che chiacchieravano tra loro, nelle borse degli uomini che allungavano il passo verso l’ufficio, negli zaini dei ragazzi che correvano sulle loro biciclette e appoggiato al bastone dei vecchi.
Rientrava a casa portando con sé la voglia di vita che il pomeriggio, passando, aveva lasciato nell’aria.
Alla sera, dopo aver messo a letto l’orsacchiotto, andava alla finestra della sua camera a guardar le stelle che la notte aveva acceso per ritrovare la via di casa quando arrivava l’ora di rientrare.
Sotto le coperte chiudeva gli occhi come un sipario alla fine del primo atto, quello della veglia, e nel buio s’incamminava verso il secondo atto, quello dei sogni.
Quando riapriva il sipario dei suoi occhi di ritorno dai sogni, sul cuscino rimaneva sempre un po’ di nostalgia per quel mondo incredibile dove le emozioni valgono più dei fatti e delle parole.
Viola aveva un sogno, andare a trovare sua nonna Maria che ormai da quasi un anno si era trasferita in Paradiso. C’era qualcosa che non la convinceva di quella faccenda.
Non una telefonata, una lettera, nemmeno per il giorno del suo compleanno. Quando chiedeva alla mamma come stava la nonna lei rispondeva “Da Dio”.
Ma perché non si fa più vedere né sentire?”.
E’ troppo impegnata a sistemare le sue gioie negli armadi della felicità” le rispondeva sorridendo.
Poi una notte la sognò. Era circondata di scatoloni davanti a decine di armadi che spalancavano le ante per farsi riempire di gioia. Lo sguardo cadde sul vestito della nonna colorato da mille fiori; era un semplice grembiule, ma ciò che stupì Viola era che fosse stropicciato. La nonna non portava mai vestiti stropicciati.
Povera nonna” pensò “ non ha nemmeno il tempo di stirare” e così , finito il secondo atto e riaperto il sipario al nuovo giorno, prese la decisione di andare a cercarla.
Tirò fuori dal garage dietro la porta la sua macchina a pedali e caricato il ferro da stiro partì.
Fuori dal cancello svoltò a sinistra e felice, col sole in fronte, diede una strombazzata col suo clacson a trombetta.
Pedalò lungo la strada che costeggia i prati che ben conosceva, si fermò a bere e a far rifornimento alla fontana del Plin e si rimise in carreggiata.
Da dove arrivi?” le chiese la mamma al ritorno, dopo che ebbe parcheggiato.
Sono stata a trovare la nonna” rispose Viola scendendo tutta sudata dalla macchina e senza aggiungere altro se ne andò in camera sua ad aspettare le stelle.
E come sta?” sussurrò la mamma quando rimase sola.
Le stelle arrivarono alla chetichella, le più secchione prima ancora che il giorno finisse di sbarazzare tutte le meraviglie che aveva esposto sotto il sole, le più occupate in ritardo, le più timide si sistemarono in fondo al cielo e le più birichine si nascosero dietro alla lavagna per non rispondere all’appello.
Dopo aver cercato di decifrare i messaggi delle stelle s’infilò sotto le coperte e stanca per la faticosa giornata s’addormentò prima del suo orsacchiotto.
Preso il biglietto partì con il primo sogno diretto dalla nonna.
Era ancora alle prese con la gioia da riporre negli armadi, ma appena lei arrivò la nonna si voltò e le sorrise strizzando l’occhio nel suo grembiule stirato a dovere.
A colazione la mamma le disse che aveva sognato la nonna vestita di fiori, con petali che parevan stirati da un angelo.
In giardino Viola alzò il suo aquilone nel vento e vide la realtà prendere forma nel regno dell’immaginazione.



venerdì 24 aprile 2020

BRUNO


C’era una volta nel parco di Greenwich uno scoiattolo di nome Bruno, con la coda pettinata a dovere e il pelo lisciato dalla vanità. Si arrampicava più in alto di tutti per sbandierare orgoglioso la sua audacia. Raccoglieva le noci più grandi per sfamare la sua superbia e le ammassava nel tronco cavo della sua avarizia. Lungo i viali, Bruno nascondeva la sua paura fra le spine dei roseti e si profumava di egocentrismo mentre si lasciava ammirare dai passanti.
Bruno non è cattivo, anzi è simpatico e rincorre i fantasmi sugli alberi come tutti gli scoiattoli del parco.
Un giorno, al laghetto delle anatre, salì su un ramo che sporgeva dall’acqua e per la prima volta vide il suo riflesso.
Ma allora sono così” si osservò stupito.
Sono come tutti gli altri scoiattoli!”.
Uscito dallo specchio una nuova luce illuminava il parco.
Riprese la via verso gli alberi saltellando felice, sentendosi finalmente fuori gara.
Non doveva più dimostrare niente di più di ciò che era e sereno si accarezzò con la coda dicendosi “ti voglio bene, Bruno!” e da quel giorno iniziò ad imparare a voler bene a tutti.



lunedì 20 aprile 2020

L' AQUILA

C’era una volta, non lontano da qui, una grande aquila dall’aspetto regale e il tono minaccioso. Percorreva, camminando, chilometri e chilometri di sentieri fra le montagne ai confini con le nuvole, alla ricerca della felicità.
Passava le giornate scrutando attentamente tutto ciò che la circondava e ad ogni movimento sospetto puntava il suo becco verso l’obbiettivo, pronta a scoccare la freccia del desiderio.
Ogni tanto scovava la felicità nascosta dentro ai cespugli di rose e per riuscire a prenderne solo un leggero petalo, doveva pagare col dolore di cento spine.
La inseguiva da sempre, a volte lentamente per cercare di sorprenderla mentre dormiva addormentata sui prati fioriti, a volte correndo, quando gli sembrava di sentirla volare via con il vento. Ci fu un periodo in cui fu convinta di averla trovata.
La portava in giro tenendola per mano, chiamandola “amore mio”.
La nutriva di mille baci e mille carezze, finché ingrassò così tanto da non riuscire più riconoscerla e la lasciò scoppiare in una bolla di sofferenza.
A mani vuote la nostra aquila riprese il suo cammino a testa bassa, ormai convinta che la felicità fosse una fantasia dei bambini. Cominciò a bere litri e litri di dolore e stordita cantava a squarciagola la nostalgia di una felicità andata in fumo.
Bruciato tutto il dispiacere ripartì alla ricerca, camminando fra i sentieri delle montagne ai confini del cielo.
Più volte si era illusa di averla trovata e si addormentava beata con il biglietto per entrare in sogni da “Oscar”, seduta in prima fila. Ma quando si riaccendevano le luci nella sala della mente, la felicità era sparita dentro allo schermo grigio della sua vita, lasciandola sola. Poi un giorno, di ritorno da una seduta spiritica; perché hai visto mai che forse la felicità si è rinchiusa dentro ad una sfera di cristallo, s'imbatté in una vecchia tartaruga.
Povera” pensò “Con quel passo la felicità non la raggiungerà mai”.
Dove vai così di fretta?” le chiese la tartaruga.
Incontro alla felicità” rispose l’aquila.
E dove ti aspetta? Sei forse in ritardo?”.
L’aquila si bloccò, presa in trappola da quelle domande. Tutti i suoi pensieri caddero a terra uno dopo l’altro in un sordo frastuono, sbilanciati da quel quesito.
Non saprei” rispose infine.
La tartaruga la guardò con i suoi occhi profondi come il cielo e piena di compassione le disse “ Puoi camminare per tutta la vita, ma non troverai mai la felicità fin quando non ti accorgerai di avere le ali. Avvicinati al dirupo al colmo del monte, trova il coraggio di lasciarti andare e le tue ali si apriranno”.
L’aquila allora, abbandonati i pensieri a terra, si avvicinò al precipizio.
Il cuore iniziò a correre cercando di scappare da quella paura, ma una folata di vento le allungò la mano, lei l’afferrò e si lasciò cadere.
Due possenti ali si aprirono in un sorriso e finalmente, senza sforzo, sospesa nel nulla, sentì la felicità che la trasportava nel vento.
Sorvolò pianure e montagne, attraversò nuvole a forma di tartaruga e volò per lungo tempo, sino a sparire nel vuoto di un cielo pieno d’Amore.



sabato 18 aprile 2020

ENRICHETTO


C’era una volta un serpente verde come l’erba a primavera, lucido come un prato appena lavato e lungo come una buia galleria. Si aggirava per il bosco, lento e silenzioso, zigzagava sugli alberi come un sentiero di montagna e, avvinghiato ai rami come l’edera, aspettava immobile la sua preda. Il suo cibo preferito erano le tenere, piccole raganelle, che consumava come snack al baretto dello stagno; in solitudine, tra un bicchiere di veleno e l’altro.
Le raganelle, stufe di saltare nella bocca del serpente, decisero di fare baracca e burattini e cambiare zona. La notte prima della partenza si ritrovarono sulla tribuna di sassi a salutare la luna, che come un fiore di loto galleggiava nello stagno.
I girini, ancora svegli per l’occasione, scorrazzavano eccitati e illuminati dalla luna parevano sciami di stelle.
Siamo tante! Una carovana lenta, carica di paura” gracidò il vecchio rospo “ Non sarà difficile per il serpente raggiungerci e, invitato a nozze, iniziare a banchettare”.
A questo punto salta fuori Enrichetto, una raganella colorata scattante come una molla.
Ci penso io al serpente. Voi andate tranquilli”.
Lo guardarono increduli “Ma come fa un esserino come te a tenere a bada il serpente?”.
Andate tranquilli, ci pensa Enrichetto” e con un salto si tuffò dentro la luna.
La mattina dopo la comitiva delle raganelle s’incamminò con i primi cinguettii.
Per quanto si sforzassero di non far rumore, lo strofinio della pesante paura che trascinavano con loro arrivò alle fini orecchie del serpente che, spalancati gli occhi come fari, accese il motore e partì. Stava raggiungendo lo stagno dove le ultime raganelle si accodavano alla colonna, quando, rimbalzando veloce come un sasso lanciato a pelo d’acqua, Enrichetto gli saltò addosso.
Colto di sorpresa il serpente si fermò, sentendo di avere un ospite sgradito dietro la testa. Si voltò cercando di scacciarlo, ma per quanti sforzi facesse non riusciva a raggiungerlo con la sua lingua biforcuta. Il valoroso Enrichetto lo dominava come un guerriero munito solo di coraggio. Il serpente girava su se stesso senza riuscire a disarcionare il nemico e gira e rigira perse di vista le raganelle che sparirono per sempre dalla sua bocca.
Ma come hai fatto?” chiesero a Enrichetto quando raggiunse le compagne.
Semplice, anziché scappare dalla paura basta saltarle in groppa, confonderla e disarmarla” e con un balzo volò via. Larga è la foglia, stretta è la via, dite la vostra che io ho detto la mia.










giovedì 16 aprile 2020

MORENA LA MARMOTTA


Il suo fischio riecheggiava nel silenzio profumato della valle, che accoglieva il crepuscolo stanco al rientro dal giorno. Morena era una marmotta pacifica e serena come gli anemoni che punteggiavano i prati di sorrisi. Sul tetto d’erba della sua tana, osservava la sera distendersi sulle cime dei larici in sbuffi di nuvole e la contemplava meravigliata mentre si toglieva la collana di raggi di sole per posarla oltre le cime dei monti. Se ne stava immobile guardandola srotolare la sua fredda coperta dal letto del fiume e le fischiava dietro mentre, nuda, si coricava e chiudeva gli occhi al bacio della buonanotte.
La valle, cancellata dal buio, si trasformava in una distesa di suoni misteriosi.
I sutra del gufo, i richiami in codice degli uccelli notturni e gli ululati dei lupi ai confini di un altro mondo.
Morena allora allungava il fischio alle stelle che gli facevano l’occhiolino e la tranquillizzavano accarezzandola con il vento.
Sei troppo buona” le ripeteva la talpa ogni volta che si dividevano il pranzo.
Prima o poi arriverà un lupo che ti mangerà in un boccone” e se ne andava borbottando fra sé: “Povera marmotta, a esser buoni c’è solo da perdere”.
Ma Morena, ferma sui sassi delle sue buone intenzioni, lasciava che la canzonassero.
Passava le giornate seduta al banco della “Scuola della Vita” e studiava coscienziosamente ogni lezione. S’interrogava da sola e sdraiata nella sua tana meditava le risposte. L’aquila le girava intorno tracciando un cerchio nel cielo, scrutando quell’allieva indifesa. La volpe la spiava e i lupi aspettavano solo d’incontrarla, ma lei sembrava non curarsene.
Uscendo dalla tana portava con sé la letizia del suo buon cuore e la talpa, passandole accanto, scuoteva la testa cieca allo splendore.
Era una sera pesante, con le nubi basse e le rocce corrucciate in smorfie tenebrose.
Le stelle mancavano all’appello e il freddo occupava ogni pensiero che usciva dal suo rifugio. Morena, come al solito, era a sentinella del suo territorio, quando un ululato le fece voltare lo sguardo. Dall’altro mondo un lupo stava arrivando, con le fauci spalancate, correndo senza freni lungo la discesa della fame.
Morena sapeva che prima o poi sarebbe arrivata l’interrogazione al suo corso per la Vita. Si girò di scatto, liberò l’accettazione e si caricò di non rassegnazione.
Chiamò a raccolta la potenza imparata dal fiume, la calma, che vedeva distesa nelle ali dell’aquila, l’arguzia appresa dalla volpe e un pizzico d’incoscienza rubata allo sguardo della talpa. Come un tuono corse incontro al lupo fischiando come il vento in tempesta. Il lupo, colto di sorpresa, si spaventò e se la diede a gambe lontano da quella furia. Tornata la calma la luna sbirciò fra le nuvole scure e fu felice nel vedere la marmotta sorriderle, mentre il cuore riprendeva il battito calmo della gratitudine.





martedì 14 aprile 2020

GIOVANNINO


Giovannino sbircia il mondo, al riparo nella sua capanna da re.
Una reggia di polvere attraversata da fasci di luce, come spade laser, con un tappeto volante di paglia, che tenta di decollare in un pulviscolo di stelle sbarluscenti, un cavallo che ondeggia legato a una sedia, un ripiano con barattoli di sassi colorati dalla fantasia e un trono di pelle chiara, come le sue idee.
Il suo fedele amico Merlino, micio magico, dai super poteri e sette vite tutte ancora da spendere, lo accompagna con il suo sguardo da gatto intrappolato dai topolini.
Ma che sta succedendo?” chiede Giovanni a Merlino “Com’è che non c’è in giro nessuno?”
Merlino non risponde, perché lui è un gatto ed ha altri pensieri che gli vibrano sui baffi.
Il silenzio intanto continua a girare vagabondo per le strade, come un gatto con le ciabatte. Dopo aver perlustrato la zona e concluso che qualcosa dov’essere capitato, se no come si spiega che non si vede anima viva? Giovannino alza lo sguardo e … meraviglia!
Una lenta sfilata di draghi sta attraversando il cielo.
Il fumo esce dalle loro bocche come nuvole, mentre il sole luccica sulla loro armatura.
Le piante festose, al loro passaggio sventolano bandiere color foglia e il canto degli uccelli intona la marcia per le grandi occasioni.
In testa al corteo il Drago Supremo con ali grandi come tutto il cielo, seguito dal suo valoroso scudiero con il mantello trasparente e gli artigli distesi al vento.
Una processione che nemmeno nei sogni riesce a schierarsi con tanta regalità.
Nobili e tranquilli avanzano verso cieli sconosciuti, raccontando senza parole le loro incredibili avventure.
Merlino, dal canto suo, si sente spaesato davanti a topi così grandi, che non basterebbero tutte le vite per mangiarseli.
Giovannino allora, presa una spada da un fascio di luce nella capanna, sale sul suo cavallo di legno e dondolando inizia a ricorrere i draghi.
Una volta raggiunti salterà in groppa al Drago Supremo e lancerà lingue di fuoco, come saette, contro i cattivi. Merlino, seduto sulla paglia, lo guarda correre e si mette ad aspettarlo sonnecchiando.
Rimarrà immobile come una trappola per topi, in attesa di ricevere la carezza che il suo amico, stanco e vittorioso, gli porterà di ritorno dal suo viaggio fra le nuvole.