martedì 11 dicembre 2012

IL BUE


Alla sera, quando rientravo nella stalla,   
il mio  padrone accarezzandomi mi diceva:
“Bravo, bravo il mio Tristano” e lì, al caldo, con tutto quel fieno profumato, mentre fuori sotto il cielo stellato le allodole tenevano il loro concerto con i gufi e il barbagianni, io mi sentivo felice; felice di essere un bue.
Ho sempre fatto fatica a capire perché gli altri buoi e le altre mucche si lamentassero in continuazione: “Poveri noi!” erano solite ripetere “Ma che vita sarà mai la nostra, sempre le solite cose, il solito prato, il solito fieno, muuh! Che noia!”e masticavano di malavoglia.
Io le ascoltavo e non capivo: l’erba era così fresca, tenera, così buona! E quel vento! Quanti profumi!

IN PRIMAVERA ogni giorno era una festa, mille fiori nuovi a colorare i prati e il cielo, sì perché ogni tanto qualche fiore riusciva a staccarsi dal gambo e si metteva a volare davanti al mio muso.
“Sono farfalle” diceva senza entusiasmo la mucca Carolina. E allora? Che differenza fa, è comunque fantastico, e inseguivo stupito quei fiori con le ali.

Poi arriva L’ESTATE, le lunghe giornate all’ombra delle querce, il profumo della terra bagnata dopo un temporale e le calde sere al canto dei grilli.
“Che palle!” si lamentava la mucca Carolina “non hanno niente di meglio da fare?”.

IN AUTUNNO osservavo le foglie che lentamente si cambiavano d’abito, mettevano il loro vestito migliore come per andare ad una festa e in silenzio le vedevo partire, staccarsi dai loro rami e volare come delle farfalle.

La prima volta che la vidi sono rimasto immobile a fissarla come un bue di pietra.
Quella leggerezza schiacciata da tutto quel peso! Eppure lei non si lamentava, con i suoi occhi dolci proseguiva lentamente sul sentiero al di la del pascolo.
Mi sembrava una farfalla che non riesce a volare da tanto peso gli hanno caricato.
Si chiamava Brunilde ed era un asinella.

Era scesa la neve quella notte, L’INVERNO era arrivato: aveva aperto le sue valigie piene di neve e ghiaccio. Si era distesa sui campi a riposare e, dopo aver tappato la bocca ai pettirossi, si era rimboccato la sua coperta di brina.
Io me ne stavo al caldo della mia stalla quando, guardando fuori dalla finestra, la rividi.
Se ne andava sola col suo carico e le impronte dei suoi passi sembravano scrivere, sulla lavagna bianca dell’inverno, una poesia.
Sono uscito dalla stalla e ho cominciato a seguirla, a ricalcare le sue impronte lasciate sulla neve; e ho letto la sua poesia.
Parlava d’Amore, di accettazione, di stupore.
L’ho raggiunta in una vecchia stalla. L’inverno è sempre stato di poche parole e così in silenzio ci siamo guardati. Arrivavamo tutti e due dalla stessa poesia e siamo diventati grandi amici.
Eravamo lì ad ascoltare il meraviglioso silenzio dell’inverno, quando un bagliore ci stupì. Alzammo lo sguardo e, come se arrivassero da quella luce, una donna e suo marito entrarono nella mangiatoia.
La donna era incinta e l’uomo le preparò in fretta, con la paglia, un giaciglio.
Lei si distese esausta e lì, fra un bue e un asinello, diede alla Luce un bel maschietto.
Il padre ci avvicinò alla donna e al bambino per riscaldarli, ma appena ci avvicinammo un meraviglioso calore ci avvolse; quel bambino emanava Amore e i nostri cuori ne furono subito riscaldati.
Rimanemmo lì per tutta la notte, ma avremmo potuto rimanere per tutta la vita.
Sono arrivati in tanti attratti dalla Luce d’Amore di quel bambino e tutti lo salutavano con rispetto.
Quando fu l’ora di partire, quel Bimbo d’Amore ci guardò e in quello sguardo trovai la risposta che sempre avevo saputo; che era meravigliosa la mia vita, era fantastico essere un bue.



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